La messa in sicurezza del centro storico de L’Aquila. Perché non lasciamo fare ai cittadini?
Supponiamo che un singolo edificio della città crolli parzialmente; cosa farebbero le autorità locali?
Per prima cosa farebbero intervenire i vigili del fuoco per estrarre dalle macerie eventuali feriti; poi darebbero disposizioni perché le zone circostanti l’edificio venissero temporaneamente transennate per evitare che altri cittadini possano subire danni da ulteriori eventuali crolli imprevisti. Una volta terminati i primi interventi urgenti, i vigili o i tecnici comunali organizzerebbero i lavori di demolizione delle parti pericolanti prospicienti le pubbliche vie e provvederebbero a rimuovere le macerie cadute sulle strade pubbliche al fine di consentire alla zona interessata dai crolli di riprendere la viabilità e le normali attività cittadine.
Terminate queste operazioni, sarebbe sorto il problema di cosa fare dell’edificio semi diroccato. Probabilmente il sindaco emetterebbe un’ordinanza rivolta ai proprietari, perché provvedano a metterlo in sicurezza o a demolirlo se irrecuperabile, comunque ad eliminare subito ogni altro pericolo qualora vi sia pericolo per la pubblica incolumità.
L’organizzazione dei lavori e le spese delle messe in sicurezza sarebbero toccate ai proprietari in ossequio al principio che lo stato non ha titolo per intervenire nelle proprietà private.
Ora invece supponiamo che gli edifici danneggiati siano molti, come avviene per un terremoto.
La procedura dovrebbe essere la stessa, anche se le dimensioni della catastrofe impongono necessariamente di ricorrere a organizzazioni extracomunali quale la protezione civile, almeno nella fase iniziale del primo soccorso e assistenza ai senzatetto.
Da questo punto in poi però, curiosamente a L’Aquila, la “normale” procedura non ha seguito il suo iter “canonico”.
Non mi pare, infatti che l’organo di governo locale abbia proceduto ad organizzare né lo sgombero delle macerie dalle strade, né il ripristino della viabilità cittadina, né l’eliminazione delle parti pericolanti sui luoghi pubblici a tutela della pubblica incolumità.
Certo l’impegno economico per appaltare subito tutti i lavori di competenza comunale avrebbe superato le disponibilità di bilancio qualora non prontamente “assestato”, ma quale organo dello Stato si sarebbe poi rifiutato di ripianare il buco o contestare decisioni di questo tipo?
Anche la messa in sicurezza delle parti degli edifici gravemente lesionate di proprietà dei privati non ha seguito la stessa procedura “canonica”. Anche in questo caso inspiegabilmente non si è proceduto ad ordinare al proprietario di mettere in sicurezza subito le sue proprietà per evitare danni a terzi.
Se vi fosse stata un’ordinanza del Sindaco, ciascun proprietario avrebbe dovuto attivarsi con un proprio tecnico di fiducia e sarebbe stato costretto a incaricare una propria ditta specializzata per realizzare i progetti di puntellamento.
Si sarebbe innescato un processo virtuoso utile a velocizzare questa prima fase di intervento destinata a rendere sicuri gli edifici lesionati gravemente e a rendere subito utilizzabili quelli meno danneggiati.
La città non sarebbe stata paralizzata come lo è ora, in quanto la viabilità cittadina sarebbe stata garantita dalle opere eseguite dall’ente pubblico e la sicurezza degli edifici privati dalle opere realizzate dai privati stessi.
Il centro de L’Aquila sarebbe stato messo in sicurezza in tempi bervi, senza doverlo chiudere con tutte le sue attività commerciali.
Trattandosi di una calamità naturale, la Protezione Civile avrebbe potuto disciplinare, con un’apposita ordinanza, il rimborso integrale o parziale delle spese sostenute dai singoli proprietari per le messe in sicurezza o avrebbe potuto pagare essa stessa le fatture delle imprese per evitare anticipazioni da parte degli aquilani. Avrebbe potuto anche organizzare i necessari controlli per reprimere eventuali abusi.
In questo modo si sarebbe ottenuto il vantaggio di realizzare subito i puntellamenti con cognizione di causa in quanto studiati da tecnici qualificati che se ne sarebbero assunta la responsabilità, si sarebbe velocizzata la messa in sicurezza in quanto ogni proprietario si sarebbe dovuto attivare subito e quindi gli interventi sarebbero partiti tutti subito e contemporaneamente.
I rimborsi pubblici alle imprese e ai tecnici avrebbero consentito di sostenere l’economia locale costringendo molti a restare in città per non perdere questa opportunità di lavoro.
Oggi il centro storico Aquilano sarebbe pulito e interamente agibile, seppure largamente puntellato e transennato, ma soprattutto gli esercizi commerciali e gli inquilini situati negli edifici non pericolanti, che lo avessero voluto, avrebbero potuto continuare la loro attività, magari fruendo di sovvenzioni pubbliche giustificate dalla necessità di non disperdere il tessuto commerciale e di relazione, difficile da ricostituire, una volta disgregato.
Certo, vi sarebbero stati anche abusi e illegalità e altri problemi ancora, ma il coinvolgimento degli aquilani nella ricostruzione della loro città avrebbero dato a tutta l’Italia un bell’esempio di come si possa reagire anche operando dal ”basso” senza necessariamente attendere che ci sia qualcuno che ci dica cosa si può o si deve fare.