Menzogne e Unità d’Italia
New York (USA) – Intervista al giornalista Pino Aprile, autore del fortunato quanto discusso caso editoriale ‘Terroni’ sul conflitto tra Nord e Sud e l’Unità d’Italia. L’immagine di copertina del libro ne comunica efficacemente il contenuto: un’Italia meridionale rovesciata con la Sicilia sopra. Lo scrittore ci anticipa i temi che verranno affrontati nel prossimo dibattito a New York che lo vedrà parlare insieme a Lorenzo Del Boca (autore di un altro libro controverso “Polentoni”) con la moderazione del Prof. Anthony J. Tamburri (Foto: la cover del libro e Pino Aprile).
(intervista di LETIZIA AIROS*) – Com’è nata l’idea di scrivere Terroni “Tutto quello che è stato fatto perche gli Italiani del Sud diventassero meridionali? Quanto studio c’è dietro?
Avevo sempre creduto ai libri di storia. Ma qualcosa non quadrava: perché, se i meridionali erano poveri, arretrati e oppressi, quando li hanno liberati, modernizzati e arricchiti, invece di essere contenti, si sono opposti per anni, armi in mano? Davvero tutti quei briganti, al Sud? E perché, quando la risposta delle armi è risultata perdente, piuttosto che godersi il “paradiso di importazione”, se ne sono andati a milioni, mentre prima non emigrava nessuno? Più trovavo risposte, più crescevano le domande. Ho cominciato a scrivere, ma senza ancora l’idea di ricavarne un libro (avrebbe dovuto essere il mio primo, è venuto fuori ottavo): dopo trent’anni, duranti i quali, fortunatamente, ho anche fatto altro…, è nato “Terroni”.
La storia del Risorgimento va riscritta secondo te. Stiamo vivendo su delle menzogne quindi…. Puoi anticiparci qualcosa…
Ogni popolo, ogni Stato, ogni grande impresa ha bisogno di miti fondanti, sintesi fiabesche e un po’
bugiarde, ma facilmente trasmissibili: che ne dite di Guglielmo Tell, del Cid Campeador, di Rolando, paladino di Francia? Teniamoci pure Garibaldi e la favola di mille idealisti che sconfiggono, da soli, un regno di nove milioni di persone, un esercito di oltre centomila uomini; poi raccontiamoci come sono andate davvero le cose: una congiuntura storica di entusiasmi e interessi che offre al Piemonte l’opportunità di allargarsi oltremisura, in nome dell’Unità d’Italia, e mettere le mani nelle casse dei vari Stati preunitari, via via annessi. L’Italia andava fatta; anche gli Stati Uniti, il Giappone, si unificavano, negli stessi anni, con guerre e stragi; ma dopo, eroi e ragioni delle parti opposte sono approdate con pari dignità nei libri di storia e nella memoria della nazione. In Italia, il Sud continua a essere diffamato, prima per giustificare l’invasione, oggi la discriminazione: meno soldi, meno strade, meno ferrovie, meno aeroporti, meno opportunità, meno potere, meno rispetto.
Il tuo libro provoca subito una forte reazione emotiva. Da una parte o dall’altra. Immagino che però il tuo intento sia quello di portare chi ti legge a riflettere. Hai qualche consiglio di metodo?
Finito il libro, mi sono chiesto come mai opere ben più valide, di giganti come Salvemini, Dorso e tanti altri, non avessero prodotto i risultati che, non solo secondo me, meritavano. Mi sono detto che forse erano troppo attenti a esporre con la distanza del professore (e sì che alcuni, vedi Salvemini, erano dotati di grande ironia e humor). Così, ho deciso di raccontare anche i miei sentimenti, la dolorosa meraviglia, la rabbia, il senso dell’essere stati traditi. E mi sono accorto che reagivo come un lettore del mio libro. Questo mi ha reso uno di loro.
Terroni, ha riscosso un gran successo di vendite e ha suscitato un forte dibattito in
Italia. Ora è tradotto anche in inglese. Che cosa ti aspetti dal lettore americano, italoamericano? Hai già dei feedback?
Lo racconto con un episodio: lessi una recensione al mio libro, da parte di un italo americano (appresi dopo che lavora alla Nato, a Bagnoli). Era un testo molto ragionato e ben scritto, al di là delle lusinghiere cose che diceva di “Terroni”. Scrissi all’autore per ringraziarlo. Lui mi rispose che era lui a dirmi grazie, per aver finalmente capito perché, pur chiamandosi Quattrone, lui, come suo padre, è nato a New York, e in Italia è un extracomunitario.
Non credi che l’orgoglio meridionalista rischi di creare un’anti lega del Nord, insomma una nuova lega del Sud?
Assolutamente no. La Lega è un partito razzista (ma non significa che lo sono tutti quelli che la votano, in buona fede); e si è inventata una identità e una patria, la Padania, mai esistita, per continuare a pretendere privilegi per una parte del Paese, a danno della parte più svantaggiata. Il Sud chiede equità, pari trattamento e questo vale per qualsiasi area del Paese cui non si offrano le stesse possibilità di viaggiare, studiare, curarsi, trasformare in opportunità di sviluppo le proprie doti.
Attualizziamo il tuo discorso storico. Quanto è importante il messaggio del tuo libro per i giovani?
Sapere come è nato davvero il nostro Paese è il primo passo per distruggere i pregiudizi che lo dividono. La verità unisce. I giovani di oggi, paradossalmente, conoscono meglio il resto del mondo (grandi possibilità di comunicazione, internet, social network, viaggi facili a poco prezzo, un’Europa senza frontiere e con una moneta unita), che il proprio Paese, del quale credono di sapere già tutto quel che serve. Guardando al proprio Paese con la meraviglia del forestiero, lo riscoprono: il recupero della memoria tradita rende curiosi.
Oggi la distanza nord-sud è sempre più acutizzata dalla crisi economica. Chiaramente non riguarda solo il nostro Paese. Cosa ha di specifico secondo te l’esperienza italiana?
Qualunque sia il periodo della storia umana che si voglia considerare, l’Italia vi è presente, al massimo livello, dalla preistoria alla storia (etruschi, greci, fenici, romani, rimescolamento di genti con le invasioni barbariche, Rinascimento… e ancora oggi, il nostro è uno dei primi dieci Paesi al mondo). Per rendere meglio l’idea: la Mesopotamia fu grande, poi non fu; l’Egitto fu grandissimo, poi non più; la Grecia fu immensa, poi scomparve… L’Italia c’è sempre. Con il Risorgimento, l’Italia ricorse alla creazione di una colonia interna, il Sud, per avviare il suo sviluppo industriale al Nord e inseguire i Paesi europei già molto avanti su quella strada (Gran Bretagna, Francia). Sino a raggiungerli. Ma quella divisione, Nord-Sud, è rimasta e viene ancora usata, allo stesso scopo. In questo, il nostro Paese è rappresentazione e sintesi del mondo. Ex colonie o Paesi sottomessi con le armi o l’economia si sono affrancati e hanno preso slancio (Cina, India, Brasile, Polonia), recuperando la consapevolezza del loro diritto a stare alla pari con gli altri attori nel mondo. Riappropriarsi della propria storia può portare allo stesso risultato, in Italia. Dico Italia, non Sud.
Nella presentazione al Calandra Institute, dove hai avuto un grande successo di pubblico, tra le tante cose hai detto: “L´Italia è nata nel sangue. Anche gli Usa sono nati nel sangue. Tutti i paesi nascono nel sangue. Anche noi, ognuno di noi é nato nel sangue, quello di nostra madre. Ma poi ci hanno pulito, allattato, coccolato, cresciuti… siamo diventati parte della famiglia. Ma il Sud é nato nel sangue e non é mai diventato della famiglia”. Forse si può partire proprio da questo confronto per capire…. Perché è così diverso il percorso storico italiano rispetto a quello americano?
Non credo di essere in grado di spiegarlo. Ma non si può non notare che gli Stati Uniti sono nati dall’incontro (e dallo scontro) di scampoli di popoli e culture, in tempi brevissimi e cominciando, in un certo senso, da zero; in Italia, ha pesato l’opera di millenni e di molte idee. E quando le idee, le vie possibili sono troppe, solo una grandissima, condivisa intelligenza può ordinarle in un disegno unico; o una spaventosa violenza, che poi va giustificata, incolpando il vinto. Io credo che l’Italia non abbia avuto tutta l’intelligenza necessaria, nel momento giusto. Accorgendosene, si può rimediare: il 14 agosto scorso, anniversario della strage di Pontelandolfo e Casalduni (mille bersaglieri con diritto di stupro e di saccheggio cancellarono due paesi di 5000 e 3000 abitanti, per rappresaglia), con un suo messaggio, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiedeva perdono del massacro, a nome del Paese. Un passo importante, il più difficile, per cominciare mille miglia.
*editor www.i-Italy.org
letizia.airos@gmail.com
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