La disperazione e il giorno dei morti
(di G.Col.) – La disfatta che permane, psicologica e spesso anche economica, nelle zone terremotate, che restano distrutte, avvicina la gente al culto dei defunti, spinge a ricordarli, a rievocare magari momenti e giorni migliori, quando era in vita chi riposa nei cimiteri. Spesso ci si accorge di aver perduto per sempre persone e modo di vivere, vuoti scottanti nella nuova vita aquilana. In città si avverte di più lo stravolgimento. Nei piccoli centri, più o meno, si campa come prima, almeno in quelli rimasti in piedi.
La giornata dei morti è, da un paio d’anni, più straziante che triste. Gli assenti sono pianti o rimpianti, i presenti si sentono orfani di persone che, a torto o a ragione, rappresentavano certezze, riferimenti, compagnia, confidenza, affetto, amicizia. La città c’era e si viveva insieme con altri, nel bene e nel male, ma in una realtà definita. Che oggi è scomparsa, o cambiata, più spesso stravolta e irrecuperabile. Ai morti molti chiedono aiuto e forza per andare avanti, ora che, dopo quasi 31 mesi, si è certi dello sfacelo. Che sta estendendosi dai ruderi dei centri storici a quelli delle economie familiari. Lo scenario drammatico della grande crisi mondiale, certo, non incoraggia. Lacrime e sangue, abbiamo dato e continuiamo a dare, nel nulla politico e amministrativo che ci atterrisce. Se i vivi non sanno produrre nulla di utile, ci illudiamo e preghiamo che lo facciano i morti. Qualche minuto nel silenzio di un cimitero farà bene all’anima e al corpo. Volendo credere che lassù qualcuno ci ami… Come, in fondo al cuore, sempre fanciullo, ognuno si sforza di credere, senza confessarlo a nessuno.
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