Grandi rischi, grandi schermaglie
L’Aquila – Che sarebbe stato un processo difficile, lo prevedevano tutti. Che lo sia in così elevata misura, lo dicono le udienze come quella di oggi, durante la quale c’è stata tensione, si sono susseguite schermaglie e scontri dialettici, e ha durato fatica il giudice Billi a tenere tutti calmi e a conservare egli stesso calma e distacco. Ci è riuscito, ma con grande impegno. In aula, sempre nella scomoda sede di Bazzano, ancora una serie di testimoni che ricordano quella notte, la notte del sisma, ma soprattutto i giorni e le ore prima, quando l’area aquilana subiva terremoti a ripetizione, anche forti (scosse superiori a 3,5 di magnitudine locale) e un interminabile, incessante sciame di fremiti continui, inquietanti. La popolazone era smarrita, mancavano indicazioni sul cosa fare e come farlo. Arrivarono dichiarazioni e interviste a scienziati ed esponenti della protezione civile, che parlavano di sciame sismico e avanzavano la dissennata ipotesi del rilascio graduale di energia. Quel rilascio che certamente vi fu, catastrofico però, alle 3 e 32 del 6 aprile. La tesi di chi ha perso parenti, genitori, amici, fratelli, sorelle e tutti i beni è: se ci avessero avvertiti, se ci avessero detto che un pericolo c’era ed era anche alto, non ci sarebbero stati i 309 morti. Molti, forse tutti, avrebbero lasciato le case e si sarebbero salvati. La gente si fidò degli scienziati, e persino la notte tra 5 e 6 aprile, quando le scosse divennero forti e ripetute, tantissimi restarono a casa. Un allarme non c’era, un’informazione corretta sui rischi neppure.
E’ questo il nodo del processo. E’ su questo che i PM Picuti e Avolio fondano le loro domande ai testi, che poi vengono sottoposti alle raffiche di domande differenti da parte dei difensori degli imputati. Qualcuno si smarrisce, perde la calma, se la prende con gli avvocati. Clima teso, ma si va avanti.
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