Le interviste – Tre domande a Michele Avolio, voce dei Discanto


Pescara – (di Cristina Mosca) – (Foto: Avolio e sotto il gruppo con gli studenti di Pittsburg negli USA) – I DisCanto stanno facendo un lavoro importante nel panorama del recupero del patrimonio musicale abruzzese: valorizzando la semplicità contadina e integrandola con sonorità nuove, portano periodicamente oltre oceano il folklore regionale riallacciando fili invisibili con gli italo-americani di seconda e terza generazione. Di ritorno dal loro sesto tour americano, Michele Avolio (voce, chitarra, bouzouki e percussioni), Sara Ciancone (violoncello, percussioni e cori), Antonello Di Matteo (zampogna, fisarmonica, clarinetto e organetto) e Germana Rossi (voce, violino, fisarmonica e percussioni) hanno emozionato circa 600 conterranei in sei concerti tra Pennsylvania (Pittsburgh e Philadelphia), Ohio (Youngstown e Painesville) e New Jersey (Vineland). Il prossimo appuntamento è a Tocco da Casauria il 19 novembre, nel teatro Michetti. Michele Avolio, leader e voce del gruppo e curatore negli ultimi sei anni della rassegna “Etnica in piazza”, risponde alle nostre tre fatidiche domande.

—Perché scegliere musica popolare abruzzese?
«Sono cresciuto in una famiglia di cantori spontanei di Pacentro e di conseguenza ho appreso sin dalla nascita alcuni canti e “modi”. Sento la mia come una “missione”: far continuare a vivere quella cultura, quelle radici. Il progetto DisCanto nasce infatti dal mio precedente gruppo, “Vico del Vecchio”, attivo dal 1976 al 1995, e ripropone una parte importante della ricerca svolta alla fine degli anni ’70. La nostra musica è prevalentemente legata alle canzoni che si usavano nel ciclo dell’anno contadino, il cui processo di disuso era iniziato già trent’anni fa».

—Che effetto avete riscontrato negli emigrati italiani, nel vostro tour all’estero?
«Potrei limitarmi a dire che il tour si è autofinanziato con la vendita dei biglietti e che abbiamo già fissato una data ad aprile a Philadelphia, presso il Museum of Art. Invece voglio aggiungere che, intestardendoci a non usare microfoni, siamo in grado di “sentire il respiro” del pubblico, e di affermare quindi che l’attenzione è sempre molto alta, sia da parte degli italiani, che cercano le loro radici, sia da parte degli americani, nonostante siano più abituati ai classici italiani come Toto Cotugno e Massimo Ranieri. Ad entrambi piace molto il nostro modo di proporle e di riscoprirle insieme a loro».

—Che approccio notate invece nel mondo giovanile?
«Negli ultimi anni molti giovani si sono avvicinati alla musica popolare, attirati dal fascino delle danze: pizziche e saltarelli la fanno da padroni… Ma, quando si stancano di ballare, si fermano ad ascoltarci e abbiamo la fortuna di essere apprezzati anche da loro. Questo ci induce a pensare che stiamo facendo un buon lavoro e che la tradizione continuerà ad essere studiata: i ragazzi non fingono mai interesse, se non c’è. Ce ne accorgiamo anche negli sporadici laboratori che riusciamo a tenere nonostante la mancanza di sostegno del Pubblico, che la ricerca dovrebbe incoraggiarla e non arenarla».


24 Ottobre 2011

Categoria : Le Interviste
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