Ricostruzione – La rivoluzione italiana comincia da L’Aquila?
(di Giampaolo Ceci) – Ci sono due modi diversi di fare politica. Ci sono i cittadini che sono stati eletti e quindi appartengono a partiti politici e gli “altri” che non fanno parte organica di alcuna formazione rappresentativa dei cittadini, ma non per questo si astengono dal dire la loro.
La differenza non è marginale perché i Politici senza partito non contano nulla in un sistema organizzato in Stato. Tutto il potere decisionale è riservato a coloro che sono eletti e fanno parte organica delle istituzioni democratiche, come giusto che sia.
Purtroppo però questo modo di fare politica può comportare gravi conseguenze, perché l’appartenenza a un partito politico costituisce anch’essa un variabile che può condizionare le valutazioni e le stesse analisi politiche.
Troppo grave per un politico trasgredire alla disciplina del suo partito o sostenere scelte impopolari senza l’appoggio dei vertici. Ne va del consenso elettorale e della propria carriera.
Inevitabilmente il politico “partitico” tiene conto di queste implicazioni nelle sue analisi politiche sulle problematiche locali e addirittura potrebbe essere portato a rinunciare a compiere azioni sgradite ai vertici e ad allinearsi a logiche e strategie che il partito sostiene in una logica strategica nazionale.
Come distruggere questo meccanismo perverso che anche all’Aquila ha determinato sterili polemiche tra destra e sinistra e rimpalli di responsabilità che a mio avviso sono la causa principale dello stallo della ricostruzione?
Per evitare questi contraccolpi sarebbe facile: basterebbe valorizzare di più i “politici” esterni ai partiti, ovvero le eccellenze intellettuali locali che, pur manifestando un’appartenenza ideologica, dicono la loro, senza essere necessariamente inseriti all’interno di partiti politici e quindi sono immuni dai condizionamenti e dalle legittime aspirazioni di carriera degli uomini politici che invece ne fanno parte.
L’Aquila dispone di tali personalità? Sono disponibili a mettersi in gioco? Hanno idee costruttive che non siano solo quelle di criticare incostruttivamente tutto e tutti? Insomma nella società aquilana ci sono personalità competenti e capaci, che operano fuori dai partiti, in grado di guidare la macchina comunale e sostenere un dibattito sociale sul futuro della città?
Guardando la composizione del consiglio comunale, composto da una ventina di gruppetti “sgarupati” mi sorge qualche dubbio, soprattutto se vedo cosa è riuscito a partorire il consiglio in questi ultimi due anni.
Non basta quindi la libertà dalle logiche di partito, ci vuole anche capacità direzionale e ampie vedute, ovvero capacità di individuare una politica per la ricostruzione equilibrata dei territori e soprattutto ci vogliono dei dirigenti competenti che sappiano attuare le linee strategiche decise a tavolino.
E’ questa la scommessa che gli aquilani devono vincere se vogliono che le cose cambino veramente.
In democrazia è concesso ai cittadini il privilegio di decidere le persone da cui vogliono essere guidate e così facendo smantellare alla base eventuali cricche, connivenze e centri di potere consolidatisi attorno alle forze rappresentative locali che senza l’investitura popolare non contano più nulla.
La prossima primavera gli aquilani sono chiamati a fare delle scelte importanti per il loro futuro. Possono dare un segnale forte o lascare che le cose continuino come sono andate, fino ad ora.
Se i cittadini comuni si riappropriassero del governo della città, sarebbe una vera rivoluzione che coglierebbe la crescente sfiducia che gli Italiani manifestano verso i politici di professione.
Attenzione però la scelta del sindaco è sempre un atto consapevole: bisogna valutare bene persone e programmi… si potrebbe cadere dalla padella nella brace!
Per fortuna che dopo una tornata elettorale si possono trarre le conclusioni e capire se la fiducia concessa a suo tempo era ben riposta. Basterà analizzare i risultati ottenuti rispetto ai programmi.
Usando o stesso criterio di valutazione, guardando i risultati raggiunti dai politici locali, a due anni dal sisma, oggettivamente trovo difficile immaginare come si sarebbe potuto fare di peggio.
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