Fluidità e fedeltà nella poetica di Deane


L’Aquila – (di Liliana Biondi*, foto) – Giunge dal “Paese Verde” d’Irlanda il poeta John F. Deane, ospite d’onore della X edizione del Premio Letterario Internazionale “L’Aquila”–Carispaq, intitolato alla scrittrice aquilana Laudomia Bonanni, e presieduto da Antonio Battaglia e da Stefania Pezzopane.
Degno compatriota di tanti premi Nobel per la letteratura: Shaw, Yeats, Beckett e Heaney e di altri famosi scrittori, quali Joyce e Wilde, John Deane, oggi residente a Dublino, è isolano nell’Isola, essendo nato ad Achille, una delle isole che costellano ad Ovest la Repubblica Indipendente d’Irlanda. Poeta di livello europeo, pluripremiato, porta saldo nel cuore, ed è perciò motivo dominante delle sue produzioni poetiche, il mondo isolano, sospeso tra il fragore dell’oceano e l’ultramillenaria sedimentazione culturale, mitologica e preromana, dove il cristianesimo trovò presto una salda oasi in cui costituirsi, affermarsi e propagarsi, come testimoniano l’alone di leggenda fiorita intorno al Patrono d’Irlanda San Patrizio -che sin dal V secolo effettivamente saldò il paganesimo celtico all’evangelizzazione cristiana (croce celtica)-, all’altro patrono San Columba, e allo splendido “Libro di Kells”, il Vangelo riccamente miniato che rende famosa nel mondo l’Irlanda, e a noi noto grazie agli echi presenti nell’opera di James Joyce.
Solo entrando -come sempre accade- nella biografia dell’autore e nella storia del suo popolo -e in questo caso è storia millenaria e tormentata, per la conquista dell’indipendenza civile e spirituale-, si comprende fino al sussurro, la voce del poeta (“Ora so / che è il mio bisogno che mi spinge a cercare / un senso e una ragione oltre l’evidenza // dell’inafferrabile, a inseguire la danza dello spirito / rivolto alla divina amicizia/…/”) che affida a immagini reali e metaforiche il suo cercare di comprendere gli oltraggi, volontari e no, della storia, e il suo messaggio di dolore, di lotta, di speranza comuni: “Invocavano / la primavera dell’amore frustrato // per i loro vitellini, di come stavano nei campi, / docili e innocenti, a disagio nel peso della carne / come vecchie zie dalle lunghe mani ossute e tremanti / alla ricerca di qualcosa nelle vecchie borse scucite”.
Il mare, l’oceano, l’acqua che hanno accolto dalla nascita il poeta, sono nei suoi versi elementi reali ed amati, cantati nelle più diverse modulazioni di tono e di espressione, ma sono anche simboli propri dell’eterno armonioso fluire (“Talvolta mi sembra di sentire ancora la sinfonia / corale dell’oceano: la grancassa che rimbomba / battendo nella cala, la musica d’arpa dei venti / tra le carcasse delle balene”) che si uniscono ad altri simboli forti prettamente irlandesi (l’arpa, e in altri casi il trifoglio, e la volpe) e a significative metafore che si contendono la memoria personale e comune del sacrificio del vivere (borse scucite), della consapevolezza del logoramento di ogni materia -siano cose, animali o persone (carcasse delle balene)-, della ineludibile aspirazione spirituale e della presa di coscienza di esser parte indispensabile e misteriosa del Creato. Indicativa è a tal fine, la conclusione della silloge Il profilo della volpe sul vetro (Edizioni del Leone 2002), nella bella traduzione di Roberto Cogo, che è un po’ la sintesi della sua poetica e il suo messaggio: “niente di miracoloso da aspettarsi; ciò che si richiede / è l’obbedienza della quiete, il placarsi della sete / per l’amarezza, la prolungata sofferenza che è / l’amore. // Assisti. Sii fedele. Diventa fluido. Sii in pace//” (da La pienezza del desiderio III).
* Università degli studi dell’Aquila e membro della Giuria del Premio.


22 Ottobre 2011

Categoria : Cultura
del.icio.us    Facebook    Google Bookmark    Linkedin    Segnalo    Sphinn    Technorati    Wikio    Twitter    MySpace    Live    Stampa Articolo    Invia Articolo   




Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento

Utente

Articoli Correlati

    Nessun articolo correlato.