Ad Amanda innocente dopo la galera


L’Aquila – (di Giulio Petrilli, responsabile giustizia del PD) – Un filo sottile lega la capacità di superare l’esperienza del carcere a vent’anni. Dopo tanti anni di carcere da giovane, giovanissima, non è facile dimenticare, non è facile uscire dal tunnel e districarsi dal labirinto della sofferenza.
Anche ora che sei uscita Amanda, non riuscirai a districare più il bandolo della matassa, si la libertà ti renderà felice, ma la sofferenza della solitudine provata dentro quel pianeta tornerà all’improvviso senza avvisarti e non la fronteggerai, tornerai dentro l’incubo del rumore quotidiano della conta, attuata insieme alla battitura delle sbarre.
Si in carcere gli agenti penitenziari contano i detenuti e le detenute tre volte al giorno, alle sette della mattina, alle quattro del pomeriggio e a mezzanotte, questa conta avviene entrando dentro le celle e sbattendo alle sbarre un pezzo di ferro per accertarsi che non siano state segate.
I giorni passano anche così, oltre l’isolamento e la mancanza di libertà, anche questa cosa anacronistica.
Poi gli odori non li senti più, percepisci solo quello della muffa che trasuda dagli angoli di celle vecchie, che ti trasmettono un freddo che ti entra dentro le ossa.
Freddo, solitudine, angoscia, silenzio, disperazione, sofferenza, il carcere a vent’anni è solo questo.
Non hai la forza di razionalizzare dove ti trovi, ad accettarlo e allora diventa una goccia di minuti, ore, giorni di solo sofferenza.
In qualsiasi attimo della giornata soffri sempre, non hai più un attimo di normalità.
Quando questa sofferenza dura mesi, un anno, due anni, tre anni, poi anche una volta fuori ti permea completamente ed è sempre in agguato, perché oramai fa parte di te.
Dopo quattro lunghi anni così, dopo un processo di primo grado dove sei stata condannata a 26 anni, dopo tutto il dolore c’è l’assoluzione in appello.
Varchi quel muro, quella cinta, torni a respirare, ma il carcere oltre che il fisico ferisce anche la mente, sono ferite che un po’ la libertà cura, ma a volte si riacutizzano.
Dicono che quando sei dentro i primi tre anni sogni ancora momenti di vita fuori, poi non più, dicono molti detenuti/e che superata la soglia di alcuni anni non si torna più indietro, il carcere è per sempre la tua seconda pelle.
Poi ti dico che quando sei fuori gli incubi del carcere ritornano tutti nei sogni, non finiscono mai.
All’innocenza calpestata pensano e riflettono in pochi, questa mia lettera aperta è una riflessione in tal senso.


11 Ottobre 2011

Categoria : Cronaca
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