Chiodi, Paolucci, FAS e precari
(di G.Col.) – Il segretario del PD abruzzese, Silvio Paolucci (foto) , ha detto che usando i FAS bisognerà pensare molto di più di quanto non appaia al momento “ai disoccupati, ai precari, alle piccole imprese in difficoltà ”. Parole sacrosante, sintesi delle vere necessità , e speriamo che il presidente Chiodi ne tenga conto, condividendole. Riflettiamo, tuttavia. Alle imprese e ai disoccupati, indirettamente, i FAS sono destinati, almeno in parte: sostegno all’imprenditoria, vuol dire – come conseguenza immediata – anche assunzioni, e quindi riduzione della disoccupazione. Per i precari discorso differente. Centinaia di costoro, in Abruzzo e nell’Aquilano terremotato, sono le vittime sacrificali della crisi, e prima della crisi erano le vittime di un confinamento nel limbo. Sempre con il cuore in gola, sempre in disperazione per le proroghe, sempre “appesi” ad un’incertezza che non è vita, ma negazione del presente e del futuro. Un precario non ha niente davanti a sè, se non una nebbia incerta, gocce di sopravvivenza elargite di volta in volta, se spira il ventro propizio. Una forte componente del malessere di ritrovarsi, oggi, italiani in un paese non più sopportabile: ben lo ha capito, pensiamo, Chiodi, leggendo la storia dei due suoi concittadini che se ne vanno in Australia “perchè in Italia non si può più vivere”. Se è così per gente “normale”, figuriamoci per un precario quarantenne che ha davanti a sè pochi mesi, di volta in volta, e finchè ci sarà un rinnovo. Stillicidio inumano, accoltellamento psicologico.
I FAS servano, quindi, anche ad eliminare il precariato ovunque si annida. Siano assorbiti i precari, si consenta loro un’esistenza, una famiglia, una modalità accettabile di vita. E poi, una volta per tutte, non se ne producano mai più. Meglio indurre i giovani (ventenni, non quarantenni) a cercarsi una vita altrove, anzichè condannarli alla pena del precariato. E’ brutto, tragico sentir dire dalle persone che in Italia “non si può più vivere”: non lo avevamo mai sentito prima, quando eravamo tutti meno ricchi, anzi decisamente poveri, in un paese modesto senza gli abbagli di un livello economico sbagliato, ingannevole e assassino.
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