Interviste: Fratti, un romanzo per L’Aquila
L’Aquila – (di Annamaria Berbato Ricci) – IL DIARIO PROIBITO DEL DRAMMATURGO – Li ha conosciuti proprio tutti: Lee Strasberg, Marilyn Monroe, Arthur Miller, Katherine Hepburn, ma anche Silone e Flaiano; ai tempi nostri, i divi hollywoodiani e di Broadway. Mario Fratti, foto, il commediografo italo-americano famoso nel mondo sembra sprizzare bonomia da quella pelle senza rughe abbastanza incongrua rispetto ai registri anagrafici, che lo registrarono a L’Aquila, il 5 luglio del 1927. Ce l’ho qui davanti. Siamo nella città martoriata dal sisma del 2009. Intorno a noi, una struttura miracolo, il Parco delle Arti, figlio di Teatro Zeta e di quel geniaccio di Manuele Morgese che, con tenacia e quasi tigna, ha creato un vero motore di crescita culturale. Una struttura che sta sorgendo e che continua a girare a mille, nonostante le macerie blocchino il centro storico e tanta gente non sia ancora ritornata nella sua casa… e forse non ci tornerà mai più.
L’occasione è di quelle da segnarsi cum albo lapillo: la nascita dell’Accademia d’Arte Drammatica dell’Aquila di Teatro Zeta, di cui Mario Fratti è presidente onorario. Conferenza stampa in Regione e grandi manifesti per la città (nella cintura esterna di quella città morta…) danno un potente amplificatore ad un evento unico, in quanto co-finanziato dall’Ente locale e dall’UE, coi Fondi POR – FESR. Ma l’unicità è anche nella presenza dell’Autore di tante commedie di successo, fra cui il pluripremiato e replicatissimo musical ’Nine’. Che dal podio scioglie lodi e incoraggiamenti alle giovani generazioni, pur se non risparmia stoccate al Palazzo, reo di non dare abbastanza attenzione alla cultura ed ai talenti.
Perché partì per l’America nel 1963?
—“Furono scoperte mie commedie in inglese, lingua che amavo sin da allora e che ritenevo più adatta a sfondare sul mercato teatrale internazionale, e fui invitato alle loro prime a New York, dove ebbero un lusinghiero successo e mi chiesero di restare come insegnante di drammaturgia, prima alla Columbia University e poi all’Hunter College. Trovai l’appartamento all’angolo fra la 55.ma Strada e Broadway e sono ancora lì, dopo quasi 50 anni. Mio condomino fu Tennessee Williams: ci guardavamo dalla finestra e ci salutavamo prima di iniziare a tempestare i tasti delle nostre macchine da scrivere manuali, che hanno visto nascere le nostre commedie.”
Il suo lavoro di maggior successo è stato ’Nine’, musical che ancora gira il mondo e dal quale è stato tratto un film, anche se figlio di un dio minore, in quanto rivelatosi un mezzo flop. Può raccontarcene la storia?
—“Trasformare il film ’Otto e mezzo’ di Fellini in un musical per Broadway, come ci si proponeva inizialmente, era praticamente impossibile. Ho, quindi, avuto il coraggio di cambiare l’80% del copione per adeguarlo ai gusti di Broadway. L’evoluzione fu importante: è stata l’idea di mandare il protagonista Guido (l’alter ego di Marcello Mastroianni) a Venezia, a girare il film Casanova la chiave di volta del successo. Ciò ha consentito di animare l’azione con varie peripezie, balletti ed effetti speciali e di condirla con un pizzico di satira. Ed è stato il segreto di quasi 2 anni di repliche a Broadway e poi lunghe tournée in tanti Paesi, dall’Australia al Giappone, dalla Corea del Sud alla Finlandia, dalla Germania alla Francia. L’Italia…un ottimista come me dice: verrà. Non è stata qui che venne coniata la frase:’ Nemo propheta in patria?’”
Ma lei glissa sul mancato successo del film! Eppure ce ne erano tutte le premesse, compreso un cast stellare…
—”Il finale del musical era molto poetico e profondo: un bambino di 9 anni, l’incarnazione di Guido da piccino, accusa i quarantenni di essere dei bambinoni rimasti fermi all’età di nove anni. Di qui il titolo del musical. Purtroppo il regista del film omonimo, Rob Marshall, non ha usato nella sua versione i punti di forza del musical, ovvero Venezia ed il finale poetico, preferendo riprodurre il film di Fellini dal principio alla fine. I remake sono sempre scivolosi.”
Cosa bolle in pentola nell’attico fra la 55.ma Strada e Broadway?
—Quell’attico ha visto nascere 91 storie teatrali, tutte caratterizzate da finali imprevedibili, il che, a detta dei critici, costituisce una mia specificità, tale da attrarre il pubblico. Ora sono alle prese con un progetto che mi sta molto a cuore; un omaggio alla svolta di democrazia che gli Stati Uniti, il Paese dove vivo e che mi ha dato il successo, stanno vivendo con la Presidenza Obama. Sono alle ultime limature di un giallo, intitolato ’Obama 44’, in cui un’ammiratrice di Obama viene misteriosamente assassinata. Ed anche qui il finale è impensabile.”
Un commediografo come lei ha mai avuto un sogno nel cassetto?
—“Più che un sogno, un romanzo. Rimasto nel cassetto sin dagli anni ’50 e considerato impubblicabile in quanto infrangeva tabù all’epoca sacrali. Un po’ come il mio primo lavoro teatrale, il radiodramma ’Il nastro’ che vinse il Premio RAI nel 1959 e, poiché fortemente antifascista, non venne mai registrato. La storia riguardava partigiani torturati che non hanno mai tradito i loro compagni. Il mio romanzo, intitolato ’Diario proibito’, una risma di carta dattiloscritta, in cui molte parole erano appena leggibili, verrà pubblicato ai primi dell’anno prossimo dell’Editore Graus di Napoli, con la prefazione di Emanuele Macaluso. La storia intreccia vincitori e vinti, meschinità grandi e piccole nel quotidiano dell’immediato dopoguerra con digressioni di flash back che raccontano la crudeltà del periodo fascista. Protagonista su tutti, L’Aquila, con strade, nomi e il toccante episodio dei 9 martiri, di cui io, per mero caso non fui il decimo.”
da L’Indro – www.lindro.it
http://www.lindro.it/Il-diario-proibito-di-Mario-Fratti#forum617
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