Riflessioni – Il Cav solo, pensoso e a rischio spallate
(di Carlo Di Stanislao) – Lo abbandonano tutti il Cavaliere, la Marcegaglia ed anche il suo maggiordomo, lasciandolo sempre più solo, sul ponte di comando di una nave che sembra ormai votata al sicuro naufragio. Il maggiordomo si chiama Alfredo Pezzotti e racconta a verbale, ai giudici napoletani: “Lavitola mi spiegò che era necessario che il Presidente utilizzasse queste utenze per parlare con lui che si trovava all’estero. Non ricordo se queste utenze fossero argentine o panamensi, comunque ritengo fossero del paese dove si trovava Lavitola. Presi in consegna questi telefoni, portati da Giuanin a Palazzo Grazioli, e circa due o tre giorni dopo, alla presenza del Presidente Berlusconi, composi il numero dell’utenza straniera in uso a Lavitola (numero che Lavitola mi aveva comunicato in precedenti occasioni) e passai la comunicazione al Presidente Berlusconi che iniziò a parlare con Lavitola. Il Presidente Berlusconi era a conoscenza dell’invio dei telefoni con schede sudamericane da parte di Lavitola e per la verità mi parve piuttosto seccato da questa modalità con cui doveva mettersi in contatto con Lavitola e, se non ricordo male, mi disse: ma guarda un po’, queste cose le fanno i mafiosi… o qualcosa del genere”. I mafiosi appunto, o qualcosa del genere e Berlusconi era consapevole della insolita “modalità”. E, in attesa di una replica-chiarimento del Cavaliere, a reti unificate e con Vespa ad officiare, in una trasmissione spettacolo che potrebbe ribaltare la situazione, la Marcegaglia gli dice che “il tempo è scaduto” e che “il paese ha bisogno di discontinuità e di una forte strategia per la crescita, altrimenti i problemi sono seri”; mentre, di nuovo, Napolitano, lo bacchetta sul rating ed il declassamento. E’ quanto mai debole il Cavaliere, tanto che per mandarlo giù, scrive Liberazione, basta una piccola spallata, che potrebbe venire in queste ore, dall’incognita Lega nel voto alla Camera sul caso Milanesi. Per Marco Milanese, il parlamentare del Pdl, ex stretto collaboratore del ministro Tremonti, per il quale la magistratura napoletana ha chiesto l’arresto nell’ambito dell’inchiesta sulla P4, sono ore di fuoco, ma, soprattutto sono di fuoco le ore di una colazione sempre più a rischio. Scrive su l’Occidentale Lucia Bigozzi, che Bossi per ora si è limitato al voto di coscienza, ma la questione dentro il Carroccio è più complessa di quello che sembra. Con una quarantina di deputati i maroniani di fatto controllano il gruppo parlamentare e sembrano orientati a fare ciò che hanno già fatto con Alfonso Papa. Il punto vero è se Maroni avrà la forza e la volontà di innescare una nuova mina per la stabilità della maggioranza e dell’esecutivo, oppure se rimanderà ad un altro momento la resa dei conti col ‘cerchio magico’ (come peraltro ha fatto in altri casi). Perché è chiaro che se i voti della Lega fossero determinanti (come accaduto con Papa) per spedire in carcere Milanese, la questione provocherebbe un contraccolpo nel centrodestra. E se non è automatico che far arrestare Milanese significhi arrivare alle dimissioni di Tremonti (il coordinatore La Russa lo ha smentito con forza), certamente il ministro dell’Economia ne uscirebbe ulteriormente indebolito. E che il clima in parlamento sia pesante, lo dimostra anche il fatto che ieri governo e maggioranza sono andati sotto per ben cinque volte su una proposta di legge sugli spazi verdi nei centri urbani. Una norma che non entrerà di certo nei manuali del Parlamento ma che dà chiara l’idea dello stato d’animo con cui si guarda a ciò che accadrà domani, perché – è il ragionamento di fondo – se anche il sì all’arresto di Milanese non pregiudicherà il cammino della legislatura, potrebbe comunque provocare il precipitare della situazione da qui alla sentenza Mills. Congetture, scenari condizionati dall’incertezza del momento. Quando a Napolitano, bacchetta il governo sul declassamento di S&P ed anche la Lega, che torna a parlare di seccessione, come aveva fatto in origine, nel tentativo di calmare una base elettorale più che agitata. Intervenendo alla trasmissione di Maurizio Belpietro su Canale 5 e poi a Sky tg 24, Marco Reguzzoni, capogruppo dei verdi alla Camera, gli replica contro: “Il popolo è sempre sovrano e quindi è l’unica figura che è sempre sopra il Capo dello Stato”; causando la pronta e durissima reazione di Enrico Letta e del portavoce dell’Idv Leoluca Orlando. Sul tema è intervenuto anche Rocco Buttiglione, vicepresidente dell’Udc, il quale dichiara: “”Un popolo non parla attraverso un capo carismatico che pretende di identificare le sue volontà con la volontà del popolo. Il popolo si esprime attraverso le istituzioni e gli organi della democrazia stabiliti della Costituzione, e quindi attraverso il Capo dello Stato che in particolare in questo momento mostra di essere in grande sintonia con l’animo e le aspettative del popolo italiano che rappresenta al meglio”. Una cosa è certa: se oggi la Camera dovesse dirsi favorevole alla richiesta di arresto di Marco Milanese, il governo paleserebbe una tenuta inesistente e Berlusconi saprebbe che la perdita di equilibrio anticipa ormai una vera e propria caduta. E il fatto che sia stata respinta la richiesta, del presidente dei deputati del Pdl Maurizio Cicchitto, di votare con il sistema delle palline, per garantire meglio la segretezza del voto e si sia invece ricorsi al voto elettronico, non è certo di buon auspicio. Berlusconi è sempre più solo, anche se qualche fedele (a parte il nostro governatore regionale Gianni Chiodi), ancora gli resta. Ieri, Augusto Minzolini, suo fedelissimo superdirettore del Tg1, aveva espresso, in un editoriale, i motivi per i quali, secondo lui, Berlusconi non deve dimettersi. Sergio Zavoli e Palo Galimberti, durante l’audizione di Lorenza Lei, hanno criticato duramente il telegiornale della rete ammiraglia e le prese di posizione di Minziolini, non in sintonia con il ruolo di una televisione pubblica. Ma oggi, sul Giornale, si difende la posizione del direttore del Tg1, perché questi “ha sempre rispettato le istituzioni ed ora occorre che le istituzioni rispettino lui”. A parte la tautologia senza fondamento, è evidente come Minzolini continui pervicacemente a produrre motivi di imbarazzo e discredito per il servizio pubblico e come ci si arrovelli, confusamente e volgarmente, nel tentativo di salvare “il re ormai nudo”, in queste concitatissime ore. Sergio Romano su Il Corriere della Sera, stamattina, ha sintetizzato l’imbarazzante situazione del presidente del Consiglio e l’empasse in cui si trova oggi il nostro paese, stretto tra crisi economica, rischio default, scandali sessuali e paralisi, scrivendo: “Berlusconi è stato per molti italiani una speranza di stabilità politica e dinamismo economico. Oggi quella speranza si è dissolta sotto il peso di una combinazione di promesse non mantenute, incidenti di percorso, scandali, comportamenti indecorosi e sorprendenti imprudenze”. Sempre oggi il Sole 24 Ore, quotidiano di Confindustria, ribadisce che: “L’Italia è il paese che rischia di più dopo la Grecia, e questo avviene per fragilità della sua coalizione di governo, la catena imbarazzante di scandali che tocca direttamente il presidente del Consiglio, suoi ministri e loro diretti collaboratori, l’incapacità perdurante di assumere decisioni dolorose ma necessarie, un quadro complessivo di decoro violato delle istituzioni”. Invitando poi il premier, in un editoriale a firma di Roberto Napoletano, a dimostrare “di amare davvero l’Italia” e a “farsi da parte se è costretto a prendere atto se non riesce a fare quello che serve”. Scrive oggi Il Messaggero che il pressing di ieri, della collaudata coppia Letta-Gonfalonieri, non è riuscito a convincere il Cavaliere a passare la mano. Scrive Marcio Conti sempre sul Messaggero che, da qualche giorno, essendo convinto che è ancora più difficile affrontare questo momento di crisi on un ministro dell’Economia alle prese con le difficoltà del suo principale, anche se ormai ex, collaboratore, Berlusconi sta giocando la carta di lasciare libera la Lega come accadde con Papa, anche rischiando che Tremonti possa mollare. Un altro rischio, legato a Milanese e al voto alla Camera, è che oggi possa venire allo scoperto, per la prima volta, lo scontento di alcuni big del Pdl, sempre più insofferenti di far parte di una coalizione senza guida e con scarse prospettive di vittoria alle prossime politiche. In tensione sono da giorni gli uomini vicini a Scajola e il gruppo di Alemanno e Formigoni, mentre il leader è sempre più pen(s)osamente solo.
Non c'è ancora nessun commento.