L’Aquila bis tra cartone e tensostrutture?
L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – Come, anzi cosa, sarà L’Aquila bis, L’Aquila che prima o poi dovrà rimettersi in piedi, risorgere dalle macerie la cui drammatica preponderanza ci appare oggi schiacciante? Per molti, L’Aquila sarà un ricordo e delle foto ormai amaramente preziose. Chi ha una certa età , infatti, difficilmente farà in tempo a rivedere la città ricostruita, come tutti sollennemente promettono. Pragmatico, Guido Bertolaso non lascia spazio a illusioni: “Per la ricostruzione – ha detto – cinque anni non basteranno”. Come dire che forse neppure 10 saranno sufficienti, per non parlare delle somme enormi, al momento neppure ipotizzabili nè tanto meno reperibili.
L’Aquila, a quanto pare, sarà una periferia attorno ad un centro con segni di vita e volto sfigurato. Una periferia di cartone e tensostrutture. Di cartone non è un modo di dire. C’è un famoso architetto giapponese, Shigeru Ban, che realizza strutture in cartone nel suo paese, afflitto dai terremoti. Egli usa pareti innalzate mediante tubi di cartone su fondazioni assai elastiche ed economiche, e l’esempio più noto di tale tecnica è la chiesa di Takatori. Ma Shigeru Ban è famoso soprattutto per le sue ricerche nel campo delle tensostrutture. Tali edifici sono innalzati usando materiali
in tensione, anzi sorretti in posizione perchè tesi. Oggi i materiali più frequentemente utilizzati sono la fibra di vetro coperta di teflon per le travature, e il poliestere per le tele, spesso coperte con uno strato protettivo in PVC.
Cavi e tiranti (si può pensare come origine dell’idea ai ponti sospesi a corde ancorate a torri-pilastro) sorreggono coperture in tela, in lamiera, in cartone (sono famose quelle dell’architetto giapponese Shigeru Ban) per coperture degli edifici molto vasti, o per realizzare costruzioni temporanee. La prima applicazione è comparsa in Australia nel 1958 per il Sidney Myer Music Bowl il cui tetto consisteva in una membrana sorretta da una tensostruttura. La tecnica, sempre più evoluta, venne usata nel Padiglione tedesco alla Expo ’67 e per lo Stadio Olimpico di Monaco di Baviera per le Olimpiadi del 1972.
Il metodo richiede materiali molto semplici ed economici: conoscendo bene L’Aquila e l’allegra brigata che da sempre ne ha scritto le sorti economiche e politiche, è lecito chiedersi se costare poco è un bene o un male da queste parti. Risparmiare signica non arricchire e non dominare il mercato, schiacciandolo da incompiute e domìni quasi mafiosi. Nel mondo le tensostrutture vanno alla grande e le abbiamo viste tutti, almeno in tv, senza forse rendercene conto: le più famose sono il Millennium Dome di Londra, il Pontiac Silverdome e l’aeroporto di Denver in USA e l’aeroporto della Mecca in Arabia Saudita.
Un edificio del genere dovrebbe essere, se mai si decideranno a farlo, l’auditorium a Pettino nell’area dell’ex deposito trenini della metro, rimasta incompiuta come l’intera metro, e ormai impensabile. La tensostruttura e forse le parti in cartone saranno progettate proprio dall’architetto giapponese Shigeru Ban: un dono del Sol Levante a L’Aquila. Sarà ma una realtà ? Finora nessuno sa quanti sono i doni e le offerte, soprattutto in denaro, da dove vengono, dove si trovano (i soldi specialmente), se esiste un elenco dettagliato e consultabile. E neppure quali itinerari stanno seguendo gli insediamenti: progettati, solo pensati, solo annunciati a parole? Si teme che tutto finisca come il ponte tra Onna e Monticchio: volevano ricostruirlo i militari. Il Comune si mise in mezzo, reclamando diritti e parlando di permessi e concessioni. Il ponte non c’è e i militari hanno giustamente detto: “Se è così, fate voi”.
(Nelle foto: Una grande tensostruttura in Australia, e una chiesa giapponese innalzata mediante colonne di cartone)
Non c'è ancora nessun commento.