Tre domande a Luca Panunzio
Pescara – (di Cristina Mosca) Luca Panunzio ed Enzo D’Andreamatteo sono rispettivamente mente e braccio di Locanda Manthonè, uno dei primi locali ad aver partecipato, agli inizi del Duemila, al rilancio di Pescara vecchia. Figlio di albergatori il primo, e “figlio” dell’alberghiero di Villa Santa Maria il secondo, insieme conducono quest’attività oggi indirizzata prettamente verso la tipicità e la territorialità delle materie prime, fino a sostituire il riso con orzo o farro. Il risultato è una cucina semplice che non crede nei miracoli destrutturanti ma che si affida alla qualità del prodotto abruzzese, senza salse che tengano; il tutto annaffiato da vino rigorosamente italiano o francese, per scelta di Luca Panunzio, che è anche presidente dell’associazione Ais di Pescara e consigliere Ais nazionale.
Cosa c’è alla base di questa evoluzione verso la territorialità regionale?
«Durante l’edizione “zero” del Salone del Gusto, nel 1998, sono entrato in contatto con realtà tanto artigianali quanto di qualità, della cui esistenza non avevo proprio idea. È stato lì che ho capito che noi ristoratori siamo molto importanti per la “vendita” di un territorio, e se prima ero attento alla qualità italiana ora mi concentro molto di più sull’abruzzesità nel piatto, fino a garantire almeno il 90% di prodotti locali nel menu. Stiamo parlando di cibo, non di poesia: la poesia può essere spiegata, il cibo va necessariamente assaggiato. Non abbiamo a che fare con il bello, abbiamo a che fare con il buono».
Com’è l’atteggiamento degli abruzzesi di fronte a questa scelta?
«Spesso purtroppo siamo noi i primi ad essere disinformati su quello che ci circonda: ad esempio quanti abruzzesi sanno realmente quante varietà di olio extravergine d’oliva vengono prodotte in regione? Noi nel nostro carrello olii ne abbiamo ad esempio 10 o 12 tipi. Quella che manca è una comunicazione alla massa e dovrebbero occuparsene gli organi istituzionali: occorre cominciare con l’educare le persone a lavorare bene. Ci vuole buona volontà, basterebbe un’ora di educazione alimentare nelle scuole medie… dalle famiglie, si deve cominciare».
Qual è la funzione del vino, in tutto questo?
«Il vino mi ha mostrato la strada: è stato amando il vino che mi sono avvicinato alla ristorazione: conoscendolo meglio e capendo che dietro ha un intero territorio, ho capito che questa complessità può essere completata solo con un’altra complessità. Quando si conosce l’alta qualità è dura tornare indietro, anzi si diventa sempre più esigenti, e oggi per ogni piatto che creiamo realizzo un abbinamento quasi in automatico. In Francia fanno vini da 400 anni, noi abbiamo ottime vigne autoctone e buoni artigiani: per questi due motivi in cantina abbiamo almeno 460 etichette solo di queste due nazionalità».
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