Montagne in frana ed interventi


(di Carlo Frutti, presidente dell’Associazione nazionale difesa del suolo) - (Foto: l’aquilano Carlo Frutti) – Il recente crollo sulle Dolomiti è solo l’ultimo di una lunga serie di fenomeni, dal Gran Sasso al Massiccio del Monte Bianco, da Ventotene a Pietracamela, con frane di roccia, che hanno segnato a ripetizione le cronache “ambientali” italiane degli ultimi anni.

Gli eventi sono collegati e conseguenti, a quote più alte, alle mutate condizioni climatiche ed all’aumento delle temperature che determinano la diminuzione dell’azione coesiva del permafrost (terreno perennemente gelato) e, sulle pareti rocciose calcaree a bassa quota, alla presenza di profonde fessurazioni nelle quali si insinuano acqua (fenomeno gelo/disgelo) e radici con il conseguente distacco di grosse masse lapidee.

Sul “nostro” Gran Sasso, come sul resto dell’Appennino, la natura fratturata e degradata delle rocce acuisce in maggior ragione il rischio di crolli.

Sono, però, in sostanza fenomeni “naturali” , ben diversi da quelli determinati dalla presenza “antropica” e dalle ferite inferte al territorio per la realizzazione di insediamenti, spesso selvaggi, e di infrastrutture, spesso inutili o sovradimensionate.

Basta ricordare le polemiche su alcune infrastrutture viarie “nostrane” e guardarsi attorno.
Basta verificare come, lungo le nostre strade, e sul territorio comunale, provinciale e regionale, la protezione da caduta massi, il pericolo di frane, il consolidamento di versanti siano affrontati con tecnologie e materiali non idonei (un esempio le numerose sacche ed i rigonfiamenti colmi di detriti delle reti metalliche in ferro poste sui versanti stradali) ed a forte impatto ambientale, interventi che si limitano a “contenere” i fenomeni erosivi – opere tampone che necessitano di continue costose manutenzioni – senza provvedere ad un adeguato e definitivo consolidamento che scongiuri il ripetersi dei fenomeni.

Le ragioni sono molte, ma forse, se pensiamo alla inadeguatezza delle conoscenze dei progettisti, ai progetti “fotocopia”, ad una scarsa formazione, al sempre crescente utilizzo da parte delle imprese appaltatrici di materiali di bassa qualità (spesso non corrispondenti ai capitolati di gara), ai controlli ridotti o inesistenti, all’assenza della verifica della reale efficaci dei lavori e del monitoraggio negli anni delle opere, per capire i perché di questa situazione di allarme.

La protezione del territorio dipende, infatti, da una corretta gestione del suolo e implica un’accurata conoscenza della risorsa. Questa è una necessità impellente se consideriamo che gran parte del territorio abruzzese mostra preoccupanti fenomeni di degrado.

Conoscenza e gestione, elementi sui quali c’è molta confusione ed un atavico ritardo.
Basti pensare alla attribuzioni delle competenze sui fiumi ed alle risorse disponibili, all’assenza di direttive per la progettazione e sulle tecnologie innovative da applicare.

Basti pensare che manca una cartografia adeguata ed uno studio sui fenomeni valanghivi, che se pur “imponderabili” e legati alle bizzarrie del tempo, non sono monitorati e prevenuti in specie nelle aree di massima presenza turistica, a monte insediamenti abitativi e sulle strade.

Basti pensare alle frane, dalle più ridotte a quelle più “famose” del territorio aquilano ed abruzzese ed alla approssimazione degli interventi senza una preventiva analisi dei fenomeni ed una ricerca delle tecnologie più innovative da applicare, anche in presenza di emergenze e valori ambientali da tutelare.

È opportuno sottolineare come, a differenza di acqua e aria, il suolo è relativamente statico, ma, qualora le sue qualità o funzioni vengano danneggiate, l’eventuale rigenerazione può essere estremamente difficile e costosa.

Affrontare un sistema territoriale, insieme di ambiente naturale e costruito, dal punto di vista della sostenibilità, implica, la necessità di ristabilire legami corretti tra popolazione e ambiente, tra risorse ambientali e lavoro umano, tra economia ed ecologia.

Un uso corretto del suolo, in definitiva, determina sia benefici ambientali sia il buon esito degli interventi urbanistici previsti.

Occorre tenere conto delle esperienze e dei disastri che, nel passato, in altre nazioni europee, hanno determinato politiche e progetti poco attenti alla tutela del territorio, così come delle esperienze positive e preveggenti di salvaguardia.

E’ impensabile pensare alla crescita industriale, all’insediamento urbano, alla costruzioni di infrastrutture di comunicazione e di servizio, senza valutare l’impatto determinato sull’ambiente, senza prevenire i possibili dissesti determinati dalle modificazioni imposte al territorio.

Il dissesto idrogeologico non può essere attribuito ad eventi esclusivamente naturali o solo alle intemperanze del clima ma, anche e soprattutto, a un modello di sfruttamento intensivo e poco programmato del territorio.

Le politiche nazionali e regionali degli ultimi anni non hanno opportunamente incluso il suolo fra le risorse non rinnovabili e quindi oggetto di particolari attenzioni nel monitoraggio e nella gestione complessiva.

Bisogna passare da una politica dell’emergenza ad una politica della prevenzione che punti su nuove tecnologie e sulla qualità degli interventi.

In un campo relativamente nuovo e complesso come quello della difesa del suolo e degli interventi sul territorio occorrono competenza e qualità, che, si ottengono con una attenta e qualificata formazione, un costante aggiornamento, nelle università, tra i progettisti, negli enti, nelle imprese, anche avvalendosi delle esperienze maturate sul territorio e nei vari ambiti della ricerca, professionali ed aziendali.

I dissesti idrogeologici hanno evidenziato negli ultimi anni l’esigenza e l’importanza sociale ed economica di strategie efficaci per la prevenzione di emergenze ambientali e territoriali.

Per la varietà e la complessità dei possibili fenomeni di dissesto è quanto mai importante disporre di strategie integrate di intervento e prevenzione; ne consegue che le politiche nazionali e regionali debbano sostanziarsi, da una parte, in azioni efficienti di prevenzione e, dall’altra, nella sempre maggiore attenzione al delicato rapporto tra territorio ed ambiente e le attività economiche e sociali nel loro complesso.

Bisogna investire sul territorio ben comprendendo che la spesa per i danni a persone e cose a seguito di un dissesto idrogeologico è almeno dieci volte superiore ai costi di una attenta prevenzione.

Fondamentale può essere il ruolo degli enti regionali e locali che debbono emanare le direttive tecniche e procedurali circa l’applicazione degli interventi di difesa del suolo e tutela del territorio con tecniche e metodi costruttivi, materiali e tecnologie innovative a basso impatto ambientale.

Per ottimizzare gli investimenti sulla sicurezza ambientale e’ fondamentale la crescita di professionalità e di figure specificatamente formate, sia tra i progettisti, liberi professionisti e dipendenti di enti pubblici, che tra i tecnici e gli operatori delle imprese, per l’attuazione di misure di prevenzione e mitigazione dei danni, sempre attenti a coniugare le risorse disponibili con le esigenze di tutela ambientale e la sicurezza dei cittadini.

Ogni intervento va considerato, pensato, gestito e realizzato al pari di un investimento con progetti chiari, soluzioni efficaci e definitive, di lunga durata, con ridotta manutenzione, a basso impatto ambientale, di rapida esecuzione, integrandoli nel tempo con un idoneo monitoraggio ed una costante manutenzione.

Occorrono competenza e qualità, che, in un campo relativamente nuovo e complesso come quello in esame, si ottengono con l’esperienza e con una attenta formazione, tra i progettisti, negli enti, nelle aziende e nelle imprese.

Essenziale è la presenza sul territorio di imprese, adeguatamente attrezzate e con personale qualificato, che sappiano tradurre nelle opere tecnologie innovative ed utilizzare i migliori materiali che la ricerca e lo sviluppo di aziende specializzate possono oggi offrire sul mercato internazionale.

L’impegno sinergico del mondo accademico, delle università – per la formazione di tecnici attenti alla tutela e sicurezza ambientale -, degli enti – per una programmazione degli interventi di prevenzione -, dei professionisti – per una progettazione di qualità e la conoscenza delle tecnologie più innovative -, delle aziende – per lo sviluppo di nuovi prodotti – e le imprese – per la specializzazione nelle opere -, è oggi richiesto per superare una fase di emergenza ambientale e programmare la gestione del territorio.

Per ridurre tale carenza occorre stimolare la formazione di capacità professionali locali che siano in grado di concorrere localmente prima, e sul mercato esterno poi, alla fornitura di servizi di questo tipo; d’ altro canto è necessario favorire l’ accrescimento delle competenze dei servizi tecnici e elle amministrazioni regionali e locali, così da aumentarne la capacità di orientamento e di scelta in questo mercato.

L’obiettivo che va perseguito è quello di formare tecnici con un patrimonio comune di esperienze e di conoscenza degli strumenti culturali, con ampi, possibili sbocchi professionali sia negli Enti Pubblici per la gestione dei controlli ambientali e la difesa del territorio e, dall’altra, gli organismi privati che operano nel settore.

Non esistono strutture pubbliche che svolgano un compito di aggregazione di tutti i soggetti che debbono intervenire sul territorio, dagli enti alle imprese, dai progettisti alle aziende.

Per favorire una crescita della cultura del territorio, favorire la crescita professionale di professionisti ed imprese, per stimolare politiche più attente alla tutela del suolo è nata l’ Associazione Nazionale Difesa del Suolo – A.Di.S. – per iniziativa di un gruppo di professionisti con esperienze maturati negli interventi di prevenzione e di messa in sicurezza di centri abitati, strade ed infrastrutture dai danni conseguenti a dissesti idrogeologici e calamità naturali: ingegneri, geologi, docenti universitari, consulti tecnici, imprese ed aziende di settore.

L’A.Di.S. ha elaborato proposte d’indirizzo per le opere di difesa del suolo e che, opportunamente integrate e modificate, possano trovare l’attenzione degli amministratori e contribuire a stimolare riflessioni, confronti e dibattiti sulle tematiche, legate al dissesto del territorio.

L’Associazione Nazionale Difesa del Suolo si rende, altresì, disponibile ad attivare collaborazioni con enti e tecnici per studiare possibili iniziative per la regolamentazione degli interventi di difesa del territorio anche mettendo a disposizione la professionalità e le esperienze dei propri iscritti.


06 Settembre 2011

Categoria : Cronaca
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