L’emorragia dei giovani aquilani
(di G.Col.) – (Foto: Bannack, città fantasma negli USA) – Le fughe dei giovani aquilani, di cui avete letto su questo giornale, con omissioni su nomi e situazioni per evitare identificazioni e riferimenti inopportuni, richiederebbero spazi molto estesi. Praticamente, dovremmo pubblicare ogni giorno due, tre, quattro messaggi, contenuti di telefonate, e.mail. Sempre sullo stesso tema: mio figlio se ne va, mio nipote cerca lavoro altrove, mio fratello ha deciso di trasferirsi sulla costa, mia madre non vuole tornare a L’Aquila… E anche molto più dolorosi: Tizio o Caio se ne sono già andati. Residenza ancora a L’Aquila, ma solo sulla carta. Un’emorragia senza rimedio, che invece di ridursi, cresce. E francamente, sollevato l’argomento con un nostro articolo, non credevamo di suscitare tante reazioni. Se la situazione è questa, merita di salire al primo piano delle preoccupazioni dei politici e delle istituzioni. Se ne va non soltanto chi non aveva lavoro, e oggi può rinunciare a qualsiasi speranza. Se ne va anche chi lavoro lo aveva e va a farlo altrove. Chi lascia i genitori, chi lascia una casa, un’attività commerciale o ludica. Persino il gestore di un locale, anche un ottico, alcuni avvocati. Qualcuno che non dà avvio ad un’attività a lungo preparata, ma lascia perdere e va via. La città perde forze vive come lo scolapasta l’acqua degli spaghetti appena cotti. Diventi questo fenomeno la prima delle emergenze, non c’è da perdere tempo. La politica corra a dare lavoro e ad eliminare la precarietà , a sostenere, dare fiducia, parole di conforto e atti di sostegno. Altrimenti ci sarà poco da ricostruire: case vuote oggi, più vuote domani. La politica riduca la tasse, crei incentivi, motivi per restare, stimoli, concretezze invece di retorica e parole vacue.
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