“Il baule dell’esperienza”
Buenos Aires (Argentina) – (di Alejandra Daguerre*) – Ho sentito dire che la vita è come un grosso baule in cui mettiamo, a poco a poco, le nostre esperienze, le ricchezze di ognuna di loro, i nostri dolori, le nostre gioie, insomma un posto dove instancabilmente continuiamo ad immagazzinare…
Quando pensiamo ad un baule è inevitabile il collegamento mentale con un mobile progettato per l’archivio di oggetti. È comune l’immagine del vecchio cofano in cantina pieno di giocattoli fuori uso, finché un bel giorno un bambino entra in casa e li scopre. Penso al portabagagli della macchina dove teniamo tutto ciò che consideriamo necessario per risolvere una possibile emergenza (e tutte le cose inutili che si accumulano e che non sappiamo dove mettere).
Immagino siti che forse non hanno forma di mobili, ma fungono come un grande “deposito”: il sottotetto, l´attico, il seminterrato, il granaio, il salva tutti, una lavandería piena di mensole per archiviare e mettere de parte… Ma, un bel giorno, fra i pezzi di questa grande “collezione” comincia ad apparire il disordine
Ed allora inizia la battaglia: proviamo a tirar fuori qualcosa che è appeso sotto qualcosa d’altro. Tentiamo di disporre liberamente dei nostri ricordi e non ci riusciamo, ci sforziamo per nascondere il caos che diventa sempre più evidente, poi cerchiamo di estrarre esperienze che vengono fuori attaccate al dolore … e cominciano gli sforzi … chi di noi può sentirsi comodo lungo la strada portandosi appresso tanta confusione?
È arrivata la crisi, e con lei i nostri primi tentativi per “riordinare”.
Appaiono rapidamente soluzioni di emergenza: chi di noi non ha preso in considerazione sedersi sul coperchio del baule —che ovviamente non si chiude più— e da quella posizione cominciare a recuperare l’ordine perduto? Chi di noi non ha pensato alla chiusura definitiva della porta della soffitta, se possibile con una chiave, per non vedere mai più il disordine e mantenere immacolato il resto della casa?
Mi accorgo lentamente che la soluzione si può raggiungere per mezzo di altre vie. Chiaramente non vogliamo vedere passar la vita come “osservatori non partecipanti “, seduti sul baule statici e contemplativi, vedendo accadere gli eventi uno dopo l’altro, in una situazione in cui il minimo movimento potrebbe provocare l´apertura del coperchio, il che lascerebbe venir fuori dal baule cose inverosimili…. Potremmo rimanere lì, ma sembrerebbe “UNO SFORZO ENORME PER NIENTE”.
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Per l’altra possibilità ho bisogno di un forte impegno: HO BISOGNO DELLA MIA FORZA PIÙ CHE DEL MIO SFORZO. Verificare il contenuto del baule non è semplice, e meno ancora è fare pulizia e mettere in ordine. Solo allora sarò in grado di vedermi oltre l’immagine riflessa dallo specchio. Potrò scoprirmi completamente con tutti i miei aspetti positivi e quelli che provocano le sofferenze più grandi. Mi sentirò più libera, più leggera e più decisa contro i nuovi attacchi. Mi sentirò più importante, unica …
Io e il mio baule siamo una sola persona e resteremo insieme per tutta la vita. Tanto vale rendere più facile la convivenza, no?
*da www.puntodincontro.com.mx
*Alejandra Daguerre è nata a Buenos Aires, dove vive e lavora. Laureatasi in Psicologia nel 1990 all’Università del Salvador nella capitale argentina, ha dapprima lavorato nella Fondazione Argentina per la Lotta contro il Mal di Chagas, nel dipartimento di Psicologia, poi per tre anni presso il Ministero del Lavoro e della Sicurezza sociale (interviste di preselezione, programmi di reinserimento lavorativo e tecniche di selezione del personale), poi dal 1994 al 1999 nella selezione del personale per l’Università di Buenos Aires.
Dal 2003 al 2009 ha lavorato presso l’Istituto di Estetica e Riabilitazione Fisica “Fisiocorp”, dipartimento di Psicologia, nel trattamento psicologico di pazienti con malattie croniche e pazienti in riabilitazione fisica a lungo termine. Dal 1991 opera in attività libero-professionale nel campo della psicologia clínica, per adolescenti e adulti, con metodiche di psicoanalisi e con ricorso all’arte-terapia e terapia occupazionale, utilizzando l’arte come elemento di catarsi terapeutica.
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