Teatro, la menzogna Thyssen Krupp


la_menzogna_proveL’Aquila – Debutta giovedì 26 marzo, uno degli eventi teatrali dell’anno, preceduto da un’eco eccezionale fatta di intere pagine di quotidiani e riviste: “La Menzogna” di Pippo Delbono, in scena per la stagione teatrale aquilana, organizzata dal TSA in collaborazione con ATAM e Comune, presso il Teatro Comunale, con repliche venerdì 27, sabato 28 e domenica 29.
Il lavoro di Pippo Delbono, estremamente originale, denso di suggestioni intense e immagini indelebili, sarà l’oggetto di un incontro pubblico introdotto dal prof. Ferdinando Taviani, dell’Università degli studi di L’Aquila, che si terrà giovedì 26 marzo alle ore 18 presso la Sala Rossa del Teatro Comunale, ingresso libero.
“La menzogna” trae ispirazione dalla drammatica vicenda della Thyssen-Krupp e dalle numerose altre morti bianche verificatesi nel nostro Paese, ha una forte matrice etica e politica ed offre spunti universali di riflessione sulle gravi ingiustizie del nostro tempo.
“Erano i primi giorni dell’estate – racconta Delbono – quando sono entrato nella fabbrica bruciata di Torino. Con ancora la memoria di quelle immagini, di quei pianti. Pianti per le madri, per i padri, i fratelli, i figli di quei morti. Poi, come al solito, anche quella notizia di incendio era stata bruciata velocemente da altri fatti di cronaca. “E’ solo il timore per la propria sorte a generare pietà per le disgrazie altrui” diceva un filosofo greco. Pietà. Un modo di attraversare il dolore, qualsiasi esso sia, rendendolo evento. Il bambino che cadeva nel pozzo e trepidante il paese stava tre giorni sveglio. Il servitore della patria martire in Irak. E ora i morti uccisi nella fabbrica. Occhi rossi, parole, discorsi, proteste, grida, poi il silenzio.
La menzogna:così si chiama lo spettacolo. E’ per questo che quel giorno d’inizio estate mi trovavo in silenzio a camminare in quel luogo bruciato: la ThyssenKrupp. Altre persone erano con me, non le conoscevo. Un incontro strano per una visita a un luogo di morte. Mi è venuto improvviso, appena sentito l’odore del ferro bruciato, un ricordo di quando ero piccolo: mio nonno mi portava ogni tanto a vedere l’officina dove lavorava il ferro. E ora sentivo lì lo stesso odore. Tutta la vita mia nonno aveva lavorato in quella piccola fonderia, e ne era orgoglioso. E anche quando era ormai vecchio e malato nella mente, si alzava a notte fonda per andare in officina a lavorare ancora. “Qui ci hanno sempre trattato molto bene, quello che è successo è stata solo una fatalità” mi diceva una donna che aveva lavorato alla Thyssen per trentacinque anni. Difendendo accanitamente quel luogo difendeva la sua stessa intera vita. Camminavo in quegli immensi spazi claustrofobici, dalla luce triste, aspettando di arrivare al famoso luogo bruciato. E intanto guardavo le zone che non erano bruciate, gli spazi che dovevano essere destinati al riposo. Erano squallidi.
Tristi. Morti. Le docce, che dovevano essere utilizzate per pulirsi nel caso di una fuoriuscita di acidi, erano vecchie e arrugginite. Il telefono e i computer , che dovevano servire ad allertare in caso di pericolo – molto frequente trattandosi di acciaio-, erano vecchi e ormai in disuso. “Eh, ma le fabbriche sono così”, mi diceva l’operaio che mi accompagnava in quella visita, rispondendo alle mie osservazioni sullo squallore del luogo, “voi artisti non sapete come sono fatte le fabbriche”. Per capire la menzogna sarà forse necessario, come nel viaggio dantesco, vedere prima la menzogna che sta fuori, per arrivare poi col tempo,dopo tanti studi, a vedere la menzogna più vera , quella che ci portiamo dentro. “Darsi un contegno”: è un’espressione che esiste solo nel vocabolario del nostro paese. Un paese che più di tutti ha permesso, “dandosi un contegno”, coprendo menzogna su menzogna, che rimanesse nascosta la sua violenza profonda . io , quel giorno, quando siamo arrivati finalmente al luogo bruciato, ormai non provavo più niente. Volevo solo uscire al più presto da lì, vedere la luce del tramonto estivo. Aria, chiedevo aria, aria, aria. A Londra , mentre giravo tra palazzi di vetro, grattacieli imponenti, vedevo spesso, come non avevo mai notato prima: “ThyssenKrupp”. Un marchio inciso sull’acciaio dei folgoranti colossi della City. E pensavo a quegli altri luoghi bui dove persone lavorano per esistere e fare esistere questi imperi. Poi sono arrivato ad un museo dove erano esposte alcune opere di Francio Bacon. E mi sono seduto a lungo davanti ad un suo dipinto ispirato ai Girasoli di Van Gogh, uno dei suoi studi. Ma qui quei girasoli pieni di luce, colore, vita, erano come aggrediti dal rosso infiammato, disperato dell’artista, che sentiva in quel fuoco l’arrivo del fuoco più grande della guerra mondiale imminente. E così, forse ricordando quel luogo bruciato che avevo visto qualche mese prima, oppure mio nonno ormai morto da tanti anni, oppure un tempo di quando si era piccoli, un tempo perduto, non so, per la prima volta nella mia vita davanti ad un dipinto, mi sono trovato a piangere”.


25 Marzo 2009

Categoria : Cultura
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