Deficit sanità e mobilità passiva
Chieti – (di Mauro Petrucci, assessore provinciale) – Cosa spinge una persona con problemi di salute ad aggiungere, alla sofferenza, il disagio di un viaggio lontano da casa per trovare risposta ai suoi problemi? La speranza o la consapevolezza che quella è l’unica soluzione? E chi dovrebbe dare risposta a queste domande?
Questi sono solo alcuni degli interrogativi che dovrebbero sorgere spontanei nel leggere gli articoli di stampa che si stanno occupando dei problemi di bilancio della sanità abruzzese e di come si spera di raggiungere il pareggio entro due anni. Infatti, uno dei punti che salta all’occhio è il dato della mobilità passiva verso altre Regioni, che ha un valore tendenziale di circa 91 milioni di euro per il prossimo anno.
È giusto puntare l’attenzione sulla spesa farmaceutica, sulle prestazioni e prescrizioni improprie della medicina del territorio, ma questo dato, al di là del puro valore numerico, è indicativo di qualcosa di più grave e preoccupante. In una Regione, con circa un milione e trecentomila abitanti e con due facoltà di medicina, ci dovremmo aspettare il contrario: un plus valore di mobilità attiva che dovrebbe contribuire a risanare il bilancio con le risorse delle altre Regioni.
Se ciò non avviene allora è il caso che ci si cominci a preoccupare ed a porsi un’altra domanda: la ricerca di risposta di salute fuori Regione è dovuta solo alla percezione o ad un effettivo livello qualitativo inferiore della nostra sanità ? Le facoltà di medicina che, per tradizione e compito istituzionale, devono garantire la formazione e l’erogazione di cure al più alto livello, evidentemente, nella nostra Regione sono carenti, quanto meno nel dare la giusta informazione sulle loro capacità per poter far cambiare la percezione di qualità all’utente. Ma, evidentemente, così non è, visto che, troppo spesso, anche noi addetti ai lavori incontriamo non poche difficoltà ad indirizzare i nostri pazienti verso queste strutture. Infatti negli ultimi anni è calato notevolmente il livello qualitativo di molti reparti. Mi chiedo: c’è una carta dei servizi della sanità abruzzese con i reparti di eccellenza? Quanti sono i ricercatori esteri o di altre università che vengono ad apprendere innovazioni nelle nostre? E quanti sono, invece, i nostri laureati che hanno fatto la scelta di andare fuori e non sono stati messi in condizione di tornare perché mortificati dal sistema delle scelte clientelari e dal familismo che, da troppo tempo, fa da padrone nelle nostre facoltà ? Quanti bravi e valenti professionisti sono stati costretti alla scelta del privato portandovi, oltre alle competenze, anche la clientela?
Un’altra considerazione che va fatta è che se la mobilità passiva è frutto di una reale minore qualità delle cure erogate, allora al dato negativo della mobilità passiva deve essere aggiunto quello derivante dal calcolo dell’inefficienza dovuto a questo minor livello qualitativo che non può non generare maggiori spese.
Ma la cosa più strana è l’assordante silenzio degli organi di rappresentanza dell’università che non partecipano all’ormai quotidiana discussione dei temi della sanità nemmeno per fornire dei dati che siano incoraggianti e che riportino fiducia, come se per loro il problema non esistesse.
Forse è arrivato il momento di rivedere anche le convenzioni con le facoltà mediche e pretendere maggiore qualità , professionalità e meritocrazia nelle nomine dei primari e dei suoi collaboratori e meno clientelismo e familismo.
Evidentemente tutte le misure di contenimento e controllo della spesa sanitaria saranno insufficienti ed inefficaci se non si punterà anche e soprattutto alla qualità delle prestazioni sia a livello territoriale che ospedaliero. Sempre sul dato mobilità , inoltre, si è riusciti ad avere un contributo di circa venti milioni di euro dalle altre regioni come solidarietà per un aumento di mobilità attribuito ai problemi del post terremoto ed allora quanto incideranno le chiusure dei piccoli ospedali sulla mobilità ? Venti milioni di euro non corrispondono al risparmio annuo preventivato dalla chiusura di detti ospedali?
Quindi c’è ancora molto da riflettere e torno a riaffermare, anche per quanto sopra detto, che una delle soluzioni per il riequilibrio dei conti è rivedere il piano sanitario con la creazione di due aziende ospedaliere clinicizzate (una dell’area metropolitana Chieti-Pescara ed una tra Teramo e l’Aquila) e la trasformazione delle quattro ASL provinciali per la gestione dei piccoli ospedali, della prevenzione e per la medicina del territorio.
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