Ingegneri, anni persi nell’Erebo
(di G.Col.) – Quando una città finisce in briciole, da che mondo è mondo, viene ricostruita. Facile previsione. Ci azzeccherebbe persino un chiaroveggente, un mago da tv di quart’ordine. Il discorso vale per L’Aquila, dove da ricostruire è l’intero centro, più annessi e connessi. Solo adesso, 27 mesi dopo il disastro, si mette in piedi un accordo con gli ingegneri. E una volta ancora (che sfinimento) si annuncia al mondo che “ora la ricostruzione può partire”.
Forse siamo noi a non riuscire a star più dietro ai tempi e alle persone. Potrebbe darsi: anche i tenaci, alla fine, si logorano. Forse però sono le persone, la gente, il mondo, a non poter più essere seguito conservando un rigore logico. Forse è inevitabile che prevalgano follia, squilibrio, sconnessioni a tutti i livelli. Ma una domanda ci deve essere consentita. Se un accordo è possibile ora, perchè ci è voluto tanto per raggiungerlo? Sicuramente doveva essere possibile anche prima, anzi, più agevolmente, quando gli studi tecnici non avevano le centinaia di incarichi professionali che oggi li oberano. E li cercavano. Un dolce peso, che farà molti ricchi e molti agiati. Ecco, questo tipo di interrogativi ci turba, mentre si profila netta la sensazione dell’incombenza di un Erebo nel quale finirà tutto, e piomberanno tutti. Oppure faremo in tempo a salvarci, chi sa quale prezzo. Già , perchè in fondo, è sempre e solo questione di prezzo. Pecunia non olet, neppure quando germoglia sulle macerie con bamboline spettinate, pettini sdentati, specchi che riflettono orbite vuote. Teschi di vite perdute.
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