Ciò che prima era razionale…
L’Aquila – (di Gianfranco Giuliante) – Gli editoriali che negli ultimi giorni sono apparsi sulle colonne dei maggiori quotidiani “abruzzesi” sollecitano riflessioni ed esprimono tesi capaci di “suggestionare” la politica come dimostrano diversi interventi.
Si è iniziato con L’Aquila e con ciò che può essere definito un paradosso: “una sfida politica che ha scelto di sperimentare la sua strategia ….privilegiando procedure di emergenza nelle mani di pochi, la ridefinizione dei rapporti tra le istituzioni, l’allentamento di sistemi di controllo, il superamento degli organismi rappresentativi, la marginalizzazione della partecipazione dei cittadini”.
La fotografia è nitida e nella sua essenzialità priva di sbavature. Ci si chiede però se questa scelta/non scelta (in rapporto al periodo in cui è stata fatta), ineccepibile nella prima emergenza, e con risultati che ci hanno portato ad essere modello mondiale, ha una sua ragione solo per la dilatazione temporale che l’emergenza rischia di avere se protratta oltre il necessario. Ciò che prima aveva una ineludibile ratio, la perde “strutturalmente” con il passare del tempo. La necessaria rapidità di decisione, correlata alla tempestiva ed immediata gestione degli stati emergenziali, è connaturata alla imprevedibilità e gravità dell’evento. La “sospensione delle regole” attiene all’eccezionalità, mentre rischia di diventare incomprensibile e non condivisibile se il limite della sospensione e il potere eccezionale si dilatano oltre una certa misura. “Il provvisorio che diventa durevole”.
La distanza tra i due punti – emergenza acuta/normalità – ancora enorme, ha al suo interno una serie di declinazioni intermedie che consentirebbero di argomentare a piacere circa la prevalenza dell’una o dell’altra, ma il buon senso potrebbe essere un metodo accettabile da utilizzare per stabilire se e quanto siamo lontani dall’emergenza.
Se il “patto per l’Abruzzo” nasce come scelta di condivisione di responsabilità importanti per il rilancio della Regione, non si capisce perché L’Aquila “per voltare pagina e rivendicare il proprio diritto al futuro” non debba utilizzare lo stesso metodo, mediandolo con la figura commissariale, figura che ha ancora oggi una sua logica (alcune deroghe non sono solo necessarie, ma opportune). Metodo che tenendo conto della attualità di alcuni strumenti necessari al commissario, con tutte le prerogative connesse al ruolo, permetta di affrontare il progetto all’interno di un patto di condivisione delle responsabilità, di ragionare sulle problematiche e di suggerire le soluzioni più opportune per la città emblema “dell’Abruzzo ferito”.
Se il centrodestra è stato “bravo” nel governo della complessità, cambiati i tempi non può permettersi l’errore della non semplificazione, di tal che, ad esempio, riteniamo sia possibile “alleggerire” la gestione dell’emergenza con l’elisione di strutture i cui compiti residuali possono essere svolti “tranquillamente” all’interno della macchina amministrativa regionale. Si potrebbe proporre un modello che accompagni, in questa fase, le scelte commissariali in modo che le stesse non siano solo efficaci ma che possano anche trovare il consenso necessario che deriva dalla capacità di mettersi in discussione.
Un piccolo passo, ma un passo, verso il ricoinvolgimento del consiglio regionale nelle problematiche connesse alla seconda emergenza.
Così come un Piano Speciale Territoriale (PST) dei comuni del cratere, che veda la Regione e la Provincia protagoniste insieme ai diversi comuni extra aquilani, potrebbe creare una opportuna razionalizzazione delle scelte, darebbe organicità alla ricostruzione e faciliterebbe la valutazione dell’incidenza complessiva sul territorio. Nel PST potrebbe esserci il coordinamento delle politiche di contenuto territoriale e di verifica della loro coerenza e delle loro compatibilità.
La gestione residuale dell’emergenza e il PST, intese come competenze regionali senza intaccare le prerogative commissariali, rimetterebbero in gioco gli Enti locali e il Consiglio regionale rendendo un servizio al Commissario perché così eluderebbe il rischio di una guerriglia logorante (non sempre giustificata) da parte degli Enti locali e dei consiglieri regionali che dopo due lunghi anni chiedono di tornare ad essere protagonisti del destino dell’Abruzzo.
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