In Abruzzo manca ancora piano cave
Pescara – (Foto: la cava Collelungo a Ofena) – Mentre si discute di una durissima manovra economica è incredibile che nessuno s’interessi dell’attività estrattiva, un settore dove i guadagni sono miliardari a fronte di pochi euro lasciati al territorio. Perfino in un periodo di crisi dell’edilizia, l’Italia, con oltre 34 milioni di tonnellate e una media di 565 chili per ogni cittadino, continua a detenere un vero e proprio primato europeo nel consumo di cemento. A richiamare l’attenzione sulle conseguenze di un’attività a cui viene prestata troppo poca attenzione sia a livello nazionale che regionale è il Rapporto Cave 2011 di Legambiente, presentato oggi a Roma.
In Italia – dice Legambiente – a dettare le regole per l’attività estrattiva è ancora un Regio Decreto del 1927, e alle Regioni sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977: la competenza sull’autorizzazione all’attività estrattiva varia da Regione a Regione, e rappresenta un punto estremamente delicato.
«La Regione Abruzzo non ha ancora elaborato un piano cave che stabilisca regole, controlli e sanzioni – dichiara Luzio Nelli, della segreteria regionale di Legambiente Abruzzo – anzi presenta una situazione grave per le autorizzazioni perché, proprio a causa dell’assenza di piani, ha trasferito ai Comuni il potere per le attività estrattive: è evidente la discrezionalità nel dare l’autorizzazione e la debolezza nei confronti delle pressioni dei cavatori. Assolutamente da tenere sotto controllo è infine la situazione nell’Aquilano, dove la rimozione delle macerie è la priorità assoluta, e ci sarà bisogno di puntare sull’industria del recupero e di non abbassare mai la guardia sul rischio di infiltrazioni mafiose».
Le entrate degli enti pubblici dovute all’applicazione dei canoni sono ridicole in confronto al volume d’affari del settore. Basti pensare che solo dalla vendita di sabbia e ghiaia (i materiali di minor pregio) i cavatori ricavano circa 1 miliardo e 115 milioni di euro l’anno che però fruttano alle Regioni neanche 36 milioni di euro di canoni di concessione.
L’assenza dei piani cave è grave perché, in pratica, si lascia tutto il potere su dove, come e quanto cavare, in mano a chi concede l’autorizzazione. Per uscire da questa situazione, accanto a nuove regole, occorre puntare sull’innovazione perché l’attività estrattiva può diventare, come negli altri Paesi europei, un settore di punta della green economy che può fare a meno di cave puntando sul recupero degli inerti provenienti dall’edilizia. In pochi anni è possibile raggiungere risultati rilevantissimi attraverso l’obbligo di utilizzare materiali provenienti dal riciclo degli inerti edili da utilizzare al posto di quelli provenienti da cava per infrastrutture e costruzioni, visto che oggi hanno prestazioni assolutamente identiche. Basti dire che mentre in Italia siamo ancora al 10% di materiali riciclati provenienti dall’edilizia, in Germania si arriva all’86,3 % (erano al 17 nel 1999), in Olanda al 90%, in Belgio all’87% e la Francia in 10 anni è passata dal 15% al 62,3%.
Legambiente chiede di adeguare, in tutte le Regioni, il canone al prezzo medio che si paga oggi nel Regno Unito per l’attività di cava, ossia il 20%, mentre oggi è in media il 4%.
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