Fantasia di Papi


(di Carlo Di Stanislao) – E’ stato inaugurato il 16 giugno, in uno spazio espositivo affatto particolare: “The Office – Contemporary art”, allocato nella sede della società di produzione cinematografica Orisa Produzioni, in Via Ostilia 31, a Roma, con fruibili su tablet Samsung Galaxy, i filmati che raccontano la storia, la vita e la realizzazione delle opere di sei grandi artisti italiani contemporanei (Jannis Kounnelis, Luigi Ontani, Mimmo Paladino, Giulio Paolini, Ettore Spalletti, Gilberto Zorio), tutti diretti da Papi Corsicato, l’Almodovar del cinema nostrano. L’iniziativa è un evento parallelo dell’edizione di quest’anno di Arcipelago, il principale festival italiano di cortometraggi e nuove visioni, che per primo rivelò il talento del filmaker napoletano, formatosi con Pedro Almodovar e divenuto uno dei registi nostrani più singolari e dalla visione più originale ed imprevedibile. A partire dal suo esordio “Libera” (1993) fino al suo ultimo “Il seme della discordia” (2008), i suoi film hanno riscosso il plauso della critica partecipando ai più grandi festival internazionali e vincendo tra l’altro il Nastro d’argento, il Globo d’oro e il Ciak d’oro. I documentari sono stati invitati da musei come il Tate Modern di Londra o il Centre Pompidou di Parigi. Questi i titoli dei corti dell’esposizione: “Girotondo di capriccio” (1999) su Luigi Ontani, “Da un momento all’altro” (1999) su Giulio Paolini, “La montagna del Sale” (1995) su Mimmo Paladino, “L’Offertorio” (1996) su Kounellis, “Le heaume enchanté” (1998) su Mimmo Paladino, “Le stelle del Canyon” (1998) su Gilberto Zorio, “Capo Dio Monte” (2009) su Luigi Ontani, “Drama Fairytale” (2005) su Mimmo Paladino. L’ultimo film di Corsicato è andato ieri, in seconda serata su Rete 4: “Il seme della discordia”, liberamente tratto da un romanzo di Heinrich von Kleist, che racconta le gesta di un uomo e una donna sposati e lanciatissimi in due carriere sfolgoranti, lui come rappresentante di fertilizzanti, lei commerciante che ha ereditato una boutique dalla madre e che è in procinto di inaugurare un concept store. Un piccolo dramma squarcia la stabilità della loro relazione costringendoli a rimettere in discussione anche le loro apparentemente forti personalità: lei rimane incinta mentre al marito viene diagnosticata l’infertilità. Un film adatto a chi è in cerca di colori ed atmosfere almodovariane, adatto per coloro che cercano citazioni (di cui il film è pieno zeppo, “perché – dice Corsicato – io amo non le citazioni in sé ma dire qualcosa attraverso le citazioni”) e per chi coltiva un certo gusto retrò per i film dei Sessanta e dei Settanta. Presentata a Venezia nel 2008, una pellicola brillante e colorata che affronta con tono grottesco e surreale argomenti drammatici quali la violenza sulle donne, l’aborto e l’adulterio, con un nutrito cast composto da Caterina Murino, Alessandro Gassman, Martina Stella, Michele Venitucci, Valeria Fabrizi, Iaia Forte e Isabella Ferrari. “Il seme della discordia” punta molto del suo appeal sulle variopinte scenografie e sul look delle protagoniste femminili, portatrici di una bellezza stilizzata e affascinante come quella delle dive degli anni ’60, con la Murino colorata, vestita e truccata marcatamente anni ’60, con diretta ispirazione a Sophia Loren, ma anche a Dalida. L’’atmosfera che si respira nel film, rende impossibile non paragonare lo stile di Corsicato a quello del grande maestro spagnolo Pedro Almodovar. Ma, ha dichiarato il regista: “Io con Almodovar ci ho anche collaborato, ma lui, come Tarantino, i Coen e David Lynch, attinge al cinema nobile del passato. In Inland Empire, che molti ritengono incomprensibile, David rifà una scena di Viale del tramonto. Io cerco di rielaborare un cinema più povero. La scena della doccia l’ho ripresa da film di serie B di cui nemmeno ricordo il titolo. Quello che mi interessa è rielaborare elementi che, in qualche modo, mi colpiscono affinché poi divengano miei”. Si può aver un bel parlare anche di Almodovar all’italiana, di un Parla con lei frullato con Volver in un’estetica sgargiante e multicolore, con una diabolica ristrutturazione dei motivi dello spagnolo: la Murino, anch’ella abusata mentre è incosciente, anche lei rotonda e ancheggiante come una Penelope Cruz ancora più indipendente e moderna, mentre l’omosessualità è qui solo ripiego di contorno (i due figli della Ferrari, sospettati stupratori della prima ora), traccia fuorviante di un Corsicato che rispetto ai Buchi neri e a Libera è meno militante. Si può anche parlare di una in fondo addomesticata polemica con le convenzioni e le istituzioni, concentrata in poche scenette farsesche come quella del negozio di articoli religiosi dove una finta suora irride la concezione senza concorso maschile. Ma non serve parlare, appunto. Qui basta guardare: come si accennava sopra, i toni fotografici intonati alla pelle e perfino al trucco di Caterina, la trama avvolta e avviluppata con perfidia attorno al suo corpo oscillante, mai pornograficamente esibito, ma spiattellato con provocazione esuberante e chirurgica; perfino il montaggio infatti ce la sbatte in faccia improvvisamente con inquadrature di raccordo in parti “morbide”, o nuda integrale, intenta in dolci abluzioni con uno stacco improvviso senza dissolvenze che ci fa sobbalzare e dimenticare trama, nomi e cognomi. Corsicato voleva forse nascondere la scarsa profondità della propria affabulazione drammaturgica con un tutto tondo inglobante, dove non la forma, bensì le “forme” ed i colori del volto di Caterina hanno un potere fagocitante rispetto a qualsiasi contenuto (e sia con ciò inteso, anche il contenuto equivoco del suo grembo e quello inefficiente del marito). Forse ha voluto glorificare un corpo da cinema che esordisce qui con la sua prima parte da protagonista di rilievo (rilievo corporeo tridimensionale, prima che attoriale); o forse voleva solo ricordarci che un’operazione in parte parodica, in parte sociologica può porsi come primo e vero obiettivo la scoperta di una nuova attrice e donna in carne ed ossa, sulla quale, scontato ormai il clamore di 007, il nostro cinema può contare senza esitazioni. Se da un lato la mostra ci fa apprezzare la Rohrwacher o la Finocchiaro, che giunoni non sono, Corsicato è qui a dimostrarci che il cinema è anche desiderio (e non solo, kubrickianamente “paura e desiderio”), attrazione (senza montaggio alla Ejzenstejn) di corpi in colori cangianti. Va bene, un film imperfetto, un film non da mostra, un film che abbiamo sentito definire kitsch, ma, per una volta, abbassiamo le difese e abbandoniamo le armi della logica. Omaggio incondizionato a Caterina la grande e al piccolo Pappi che sa usare il “kynema” come “corpo in movimento”.


05 Luglio 2011

Categoria : Cultura
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