L’opinione – Scandali a destra e a manca


(di Carlo Di Stanislao) – Mente si allarga lo scandaloso fronte del “sistema P4”, con due alti ufficiali della Guardia di Finanza che avrebbero fatto sapere al faccendiere Luigi Bisignani, fulcro delle indagini della Procura di Napoli, di avere il telefono sotto controllo e si incrementa il numero di deputati pronti a votare il via libera per l’arresto dell’ex magistrato, oggi senatore Pdl, Alfonso Papa, che a Bisignani forniva notizie sui processi, con il vicepresidente della Giunta e relatore del caso, Francesco Paolo Sisto, che oggi svolgerà il suo intervento, cui farà seguito il dibattito e quindi il voto; esplode, a sinistra, uno scandalo i analogo, con Vincenzo Morichini, amico e comproprietario della barca a vela di Massimo D’Alema, che ieri ha avuto la Finanza nella sede romana della sua società Soluzioni di Business srl. Secondo Il Giornale e Mentana su il Tg de La7, il pm romano Paolo Ielo, che da tempo sta indagando sugli appalti vinti da alcune società in affari con la Sdb, è particolarmente interessato all’attività di lobby svolta da Morichini, soprattutto dopo che il manager Pio Piccini ha svelato il sistema con cui l’imprenditore amico di D’Alema lo introduceva negli ambienti giusti: nel caso in cui la sua impresa fosse stata effettivamente favorita. Il nuovo filone di indagine deriva da quello su presunte irregolarità negli appalti assegnati dall’Enav a Selex Sistemi Integrati, del gruppo Finmeccanica, tramite l’affidamento diretto, senza ricorrere ad una gara pubblica (anche se sia l’Enav che Finmeccanica sarebbero estranee a questi nuovi accertamenti). Non è la prima volta che il nome di D’Alema è coinvolto in uno scandalo. Oltre alle “case d’oro” romane, di alcuni anni fa, si ricorderà, a settembre 2010, l’arresto di Flavio Fasano, suo fedelissimo, avvocato, ex sindaco Pd di Gallipoli (Le) ed ex assessore provinciale ai lavori pubblici, per episodi di corruzione avvenuti nel 2008 e nel 2009. E, sempre D’Alema, è stato coinvolto nella questione P4 con Verdini, Letta e gli altri, sicchè il suo “possibilismo” circa il controllo delle intercettazioni, riportato in auge da Angiolina Alfano, segretario in pectore del Pdl e ministro della giustizia, con la riproposta della ripresa della’iter parlamentare per la legge che sollevò la ribellione di Fini e accelerò la spaccatura in seno al partito di maggioranza, appare per lo meno sospetto. Se è vero che, come scrive Peppino Caldarola, che lo scontro sulle intercettazioni assomiglia alla polemica sui pentiti di un decennio fa, quando il centro-destra voleva eliminarli e la magistratura, pur riconoscendo l’esistenza di problemi, ne difendeva l’utilità; è anche vero che gli schizzi di scandali vari colpisce e infanga ora e largamente la sinistra e lo fa molto più e più gravemente che in passato. Il paradosso del dibattito di queste ore, sta nel fatto che non si discute su come correggere la rotta punendo coloro che si sono fatti etero-dirigere, ma cercando, in modo bi-partisan, di mettere la sordina allo scandalo con una legge-bavaglio, con un comportamento che sfiora il ridicolo (o il tragico), con il tentativo di un decreto del governo durato un solo pomeriggio. Ieri Massimo D’Alema è stato investito da una bordata di fischi, alla Festa democratica di Bergamo, con slogan e sfottò che gli chiedevano, fra l’altro, di prendere posizione sugli scontri avvenuti in Val di Susa tra i manifestanti no-Tav e la polizia e l’immancabile “dicci qualcosa di sinistra”. E non basta. Nell’inchiesta che coinvolge l’uomo di D’Alema, spunta anche un uomo di Bersani: Franco Pronzato, arrestato ieri, sconosciuto (come Bisignani) ai più, ma molto noto nelle stanze che contano del Pd, ex i braccio destro di Bersani e responsabile del settore trasporto aereo. Ricorda il sempre acuto Arturo Diaconale su Il Fatto Quotidiano, che Bersani ora non è più l’uomo di paglia di D’Alema e, invece, guida davvero il partito e sogna, dopo che a Pontida, Umberto Bossi ha difeso la sua decisione di non aprire la crisi di governo sostenendo che si andasse a votare oggi vincerebbe la sinistra, di portare gli eredi del Pci, Pds e Ds, nella mitica stanza dei botton, i che tanto suggestionava Pietro Nenni. Ma il fatto è che la sinistra non ha meno problemi della destra, è divisa, lacera, infangata, macilenta, senza unità, credibilità ed idee. Se Bossi, anche dopo le dichiarazioni di ieri sulla tenuta del governo, ha innescato il sogno dell’accoppiata Bersani-D’Alema ai vertici dello stato, i fatti del doppio coinvolgimento di uomini-chiave in uno scandalo analogo a quelli della P4 (si parlerà di unaP5?), raffredda e raggela fortemente gli animi. Per esempio, chi mai oggi, anche nell’elettorato di sinistra, direbbe sì al’ipotesi di un Bersani capo del governo e del il mitico “baffino” , il giovane pioniere di Palmiro Togliatti, l’esponente del Pci iscritto fin da ragazzo alla direzione del partito, il liquidatore di Natta, Occhetto e Veltroni, il bombardatore di Belgrado in nome di Cossiga e per conto degli Usa, il Virgilio dello stesso Bersani, succedere a Giorgio Napolitano alla scadenza del settennato? Oltre agli scandali l’Italia ha problemi di tenuta, di credibilità struttura. Il Financial Times di ieri, dice che il nostro sistema bancario, ad esempio, vacilla, il nostro debito pubblico è il quarto nel mondo, i titoli di stato debbono riconoscere interessi sempre crescenti e non si vedono speranze o idee di vera ripresa, con invece un aumento crescente aumento di indigenza, disoccupazione e sfiducia disperante, soprattutto giovanile. Ma nonostante questo, la politica garantisce se stessa e Tremonti vara una manovrina edulcorata ed inefficace, di appena 1,5 miliardi, laddove ne boccerebbero più di 40 (rinviata a fra quattro anni), perché circolavano voci di una sua sostituzione ed ha deciso che più che salvare il Paese occorre, ora, salvare se stesso. L’Italia è in fibrillazione e stagnazione ed il rigorosissimo Tremonti, aggiusta le cose solo perché non ha alcun interesse a strappare ora che rischia di essere messo in disparte. Insomma, su un totale di 47 miliardi, solo 7 riguardano il biennio 2011-2012 e non si vede come e per quale miracolo, l’Italia, a un passo da Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda, possa spendere in soli due anni i 40 miliardi restanti. Oltre ad un giro di vite alle “pensioni d’oro”, la manovra illustrata da Tremonti al prevertice con i ministri, ha come obbiettivo l’inizio di un ciclo di “spending review”, mirata alla “definizione dei fabbisogni standard propri dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato”. Per incentivare i funzionari pubblici a un miglior utilizzo delle risorse disponibili, il decreto cancella dal 2012 tutte le norme che dispongono la conservazione dei residui passivi, cioé le somme stanziate ma non spese dalla pubblica amministrazione, che al momento possono essere utilizzate nell’esercizio successivo e valgono oltre 100 miliardi, secondo le stime della Corte dei Conti. E’ prevista, inoltre, una riduzione di 3,5 miliardi tra 2012 e 2020 della dotazione del fondo strategico a sostegno dell’economia reale, gestito da Palazzo Chigi e comunemente chiamato fondo Letta, mentre resta, per volontà della Lega, che dovrà vedersela con il suo elettorato circa l’ipotesi di aumento dell’età pensionabile, una modifica del patto di stabilità, con più possibilità di spesa, per i comuni virtuosi. Dice Pier Luigi Bersani, mentre come un autentico leader si accende un mezzo toscano nel piazzale di Montecitorio, che il governo lascia a “chi è più capace” un regalino da 40 miliardi, ma non sembra affatto angosciato dal fatto che, se il centrosinistra vincesse al prossimo giro, dovrebbe farsi carico dello sforzo più grande, mentre si dice preoccupato, da vero statista, per la figura che possiamo fare in Europa. Sentenzia acuto e convintissimo, che per ridurre seriamente il debito bisogna far ripartire la crescita con una serie di misure ad hoc, ma, naturalmente, nulla precisa su quali e quante misure ha in mente, aspettando che nel 2013 si compia il miracolo di un aumento del Pil del 10%. In carcere, ieri, oltre a Pronzato, sono finiti anche tre imprenditori: Giuseppe Smeriglio, Riccardo e Viscardo Paganelli, titolari questi ultimi della Rotkopf, secondo gli inquirenti agevolati dal componente del cda dell’Enac nell’ottenimento del Coa, il certificato di operatore aereo necessario per la partecipazione alla gara, e di un ulteriore certificato, il Cola. E Bersani si limita a dire dell’amico e collaboratore “Spero che dimostri la sua estraneità”. Poca cosa davvero di fronte alla gravità della cosa, segno di una personalità che oltre che sperare non riesce a fare molto altro.


29 Giugno 2011

Categoria : Rubrica
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