Due libri diversi e molto belli
(di Carlo Di Stanislao) – Recensiamo due libri appena usciti, diversi , ma, in entrambi i casi, molto interessanti. Il primo è “Le figlie perdute della Cina”, della giornalista cinese Xue Xinran, da ochi giorni in libreria Longanesi, svela e racconta uno degli aspetti più terribili della cultura cinese, il fenomeno dell’abbandono, e in altri casi dell’uccisione, delle figlie femmine. I motivi principali che la giornalista individua già nell’introduzione sono tre: un sistema di distribuzione della terra che è rimasto immutato da più di duemila anni, e per il quale solo attraverso i figli maschi si può ottenere vantaggi; l’ignoranza in materia sessuale combinata al boom economico; infine, altrettanto importante, la politica del figlio unico, introdotta all’inizio degli anni Ottanta con lo scopo di controllare l’enorme esplosione demografica cinese. Un libro crudo e fremente, che l’autrice ha realizzato dopo molti anni di ripensamenti e che raccoglie dieci racconti dedicati ad altrettante donne, dalla levatrice alla contadina, dall’impiegata alla studentessa, tutte accomunate da esperienze tragicamente simili. Sono storie vere che Xinran ha raccolto negli anni dei suoi viaggi attraverso il gigante asiatico, incontrando queste madri che hanno dovuto scegliere di andare contro la loro natura, rinunciando ai frutti del loro grembo solo perché nati col sesso “sbagliato”. Alla sofferenza delle madri, e al loro senso di colpa, fa da sfondo una realtà economica e sociale spaventosa, di cui l’occidente quasi nulla ha voluto sapere. Quella delle campagne cinesi, dove, ancora negli anni Ottanta e Novanta, la fame era uno spettro reale e nutrirsi un’impresa. Quello di orfanotrofi provvisori e senza né cibo né personale. Quella di un apparato statale indifferente al vissuto delle persone, fatto di burocrati, medici, levatrici che, pur non capendo, non osavano contravvenire alle regole e alla pesantissima censura. «Quando ho cominciato un programma radiofonico per la Radio di Nanjing, non sapevo come portare alla luce queste storie. Classe 1958, la Xiren ha lavorato per anni come giornalista e conduttrice radiofonica tra Pechino e Nanchino. Dal 1997 vive a Londra dove cura una rubrica fissa sul Guardian. Ha fondato nel 2004 l’organizzazione no profit The Mother’s Bridge of Love, allo scopo di aiutare i bambini cinesi che vivono in condizioni di disagio e di creare un ponte culturale tra la Cina e l’Occidente. La sua opera più famosa è il bestseller La metà dimenticata, un saggio che racconta della difficile condizione della donna nel Paese del Dragone. Grazie al suo profondo impegno è stata inserita nelle 100 Top Inspiring Women 2011, l’elenco delle donne più “illuminate” redatto dal Guardian. L’altro libro, anche lui appena uscito, del più irriverente ed insieme “mistico” ateo italiano: “Caro Papa di scrivo”, di Piergiorgio Odifreddi, un’opera seria e profonda, sempre argomentata con un linguaggio ricco, preciso e inventivo, con una esposizione di vasto respiro culturale, scientifico, filosofico e teologico, in cui si sente vibrare una spiritualità che scaturisce dall’umanesimo profondo dello scenziato. Il libro è una sorta di dialogo che l’autore intavola con il papa teologo Benedetto XVI, attraverso l’analisi e la lucida, incalzante confutazione di passi salienti di alcuni testi che hanno reso celebre Papa Ratzinger come teologo, in particolare, “Introduzione al Cristianesimo” e “Gesù di Nazareth”. Dopo Il Vangelo secondo la Scienza (Einaudi, 1999) e Perché non possiamo essere cristiani (Longanesi, 2007), Odifreddi si era impegnato a dibattere per un mese intero, facendo a piedi il Cammino di Santiago, le ragioni della fede e della scienza con Sergio Valzania e Franco Cardini (La via lattea, pubblicato da Longanesi nel 2008) ed ora dialoga (o immagina di farlo), direttamente col Papa-teologo, apprezzando alcune sue tesi e confutandone altre, come quele su evoluzionismo, poligamia e omosessualità. Un libro intelligente, acuto ed interessante, che non condividiamo però quando definisce il messaggio di Gesù: “una strana mistura di ingenua sapienza, sciocca ciarlataneria e infatuata aggressività”.
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