Riflessione – Sulle chiusure ospedaliere


(di Mauro Petrucci) – (Nella foto Calabresi con il presidente Napolitano) – “Per riprendere coraggio, per trovare ossigeno, mi sono rimesso a viaggiare nella memoria. Chi lo fa si sente immediatamente più forte: se ce l’hanno fatta loro, possiamo farcela anche noi”. Così dice Mario Calabresi dal suo ultimo libro: “Cosa tiene accese le stelle”.
In esso l’autore ha voluto ricomporre i frammenti di un tempo in cui si faceva fatica a vivere ma era sempre accesa una speranza, e di un presente così paralizzato da non riuscire a mettere a fuoco l’esempio di chi non ha mai smesso di credere nel futuro.
In un paese in cui il nichilismo, la sfiducia, il fatalismo prevalgono, gli anziani hanno nostalgia del passato, i giovani si rassegnano alla mancanza di prospettive, coscienti di vivere la peggiore stagione.
L’autore, attraverso i suoi racconti e le testimonianze di chi è stato capace di inseguire i propri sogni, vuole dare un messaggio di speranza alle nuove generazioni.
Ho voluto prendere spunto da queste considerazioni, evocatemi appunto dalla lettura di questo bel libro di Calabresi, perché oltre a ridarmi fiducia, così come lui vuole, mi ha suscitato, però, altre riflessioni più amare e tristi.
La nostra generazione rappresenta oggi ciò che negli anni della contestazione dal ’68 in poi era quella dei nostri genitori e nonni: la classe politica economica e sociale al potere.
Noi li abbiamo contestati e criticati, a volte con modi forti e violenti. In fondo rimproveravamo loro di non saper interpretare i nostri bisogni, le nostre esigenze e creare i presupposti per una legittima realizzazione dei nostri sogni ed aspirazioni.
Ma, mentre contestavamo e ci ribellavamo, spesso, ignoravamo che quella era una generazione che veniva fuori da un ventennio di dittatura, dagli orrori di una guerra assurda e devastante per il nostro paese, da una guerra fratricida e che era impegnata in uno sforzo per la ricostruzione e la rinascita dell’Italia.
Sono stati capaci di dare ai loro figli, cioè a noi, una emancipazione, rispetto a loro, culturale, economica e sociale. E noi li abbiamo contestati!
Oggi, che noi abbiamo preso il loro posto, cosa siamo stati capaci in fare di meglio? Come abbiamo tradotto in pratica quei principi teorici che erano alla base della nostra contestazione? Forse dobbiamo fare un esame di coscienza e chiedere loro scusa, oggi per allora. Stiamo lasciando un futuro ai nostri figli che sarà una involuzione rispetto al nostro presente. Senza considerare che, oltre tutto, stiamo attenuando i danni della recessione e della crisi ancora una volta grazie alla generazione dei nostri genitori e nonni. Molti vivono nelle case di loro proprietà o da loro ereditate, altrettanti sopravvivono grazie alle pensioni ed aiuti economici. E noi cosa stiamo dando loro in cambio? E qui voglio arrivare al punto che, oltre a farmi accettare e condividere il messaggio di speranza di Calabrese, ha evocato in me un certo pessimismo: la consapevolezza che continuiamo a essere irriconoscenti nei confronti dei nostri genitori. Mi spiego meglio: la sistemazione di malati sulle barelle e la chiusura del reparto di geriatria.
In buona sostanza coloro i quali, come ricordavo prima, hanno ricostruito l’Italia,hanno contribuito alla realizzazione di un sistema sanitario equo ed alla portata di tutti, hanno pagato le tasse anche per poter costruire gli ospedali; oggi, che avrebbero il diritto di poter fruire di queste strutture per alleviare le sofferenze della loro malattia e vecchiaia e, magari, affrontare con dignità le sofferenze della morte, si vedono negare tutto ciò e cacciati fuori da ciò che loro hanno contribuito a realizzare. E noi cosa stiamo facendo per evitarlo? Forse è veramente arrivato il momento di invertire la rotta e cominciare ad essere più responsabili ed a fare finalmente gli interessi dei cittadini e non dei partiti e di noi stessi.


16 Giugno 2011

Categoria : Cultura | Dai Lettori
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