Riflessione – Macerie aquilane
(di Carlo Di Stanislao) – Pubblicata sul sito www.commissarioperlaricostruzione.it, nella sezione ”Normativa e documenti”, l’ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3945, in cui viene affrontato il tema dello smaltimento delle macerie. In particolare, si dispone che il Commissario delegato elabori il piano per la gestione delle macerie nell’ambito di un Comitato, il cui Presidente e’ individuato nel Sindaco dell’Aquila e di cui fanno parte i Sindaci rappresentanti delle Aree omogenee dei comuni del cratere. Nell’ordinanza si autorizza i privati al trasporto delle macerie e la cosa è stata accolta con favore dal Presidente della Provincia dell’Aquila, Antonio Del Corvo, che in una nota ha espresso piena soddisfazione. Soddisfatto anche Gianni Chiodi, Commissario delegato per la ricostruzione e Presidente della Regione Abruzzo, che ha dichiarato “grande soddisfazione per il fatto di essere arrivati ad una maggiore collegialità nella gestione delle problematiche legate allo smaltimento. Infatti adesso – ha continuato Chiodi – non solo tutti i trasportatori potranno portare le varie tipologie di rifiuti in tutti i siti autorizzati, ma è importante sottolineare che il piano che sarà elaborato per la gestione delle macerie sarà realizzato nell’ambito di un Comitato. Con queste nuove disposizioni che regolamentano tematiche già concordate – ha concluso il Commissario – si aggiunge dunque un nuovo, importante tassello al percorso della ricostruzione, mentre le altre eventuali necessità verranno valutate e recepite da apposite ordinanze”. Nel frattempo si innesta una nuova polemica fra i sindaci del cratere e l’Ordine nazionale degli ingegneri, che ha presentato ricorso al Tar contro le convenzioni stipulate da tre Comuni (Castelvecchio Subequo, Arsita e Barisciano) con le Universita per l’elaborazione dei Piani di ricostruzione. Ieri, in conferenza stampa a palazzo Silone, il sindaco di Rocca di Mezzo, Emilio Nusca, ha stigmatizzato l”’ingiustificabile comportamento” dell’Ordine nazionale degli ingegneri che, a suo dire, avrebbe ”scavalcato” l’Ordine provinciale, opponendosi per via giurisdizionale a quegli accordi con gli atenei (in primis L’Aquila, ”d’Annunzio” di Pescara/Chieti, ”La Sapienza” di Roma), organismi anche loro istituzionali e quindi garanzia di trasparenza. Va detto che non vi erano, in conferenza stampa, né i rappresentati dell’Ordine provinciale degli ingegneri a sostenere le ragioni dei tre Primi cittadini e neanche il Sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, la cui assenza e’ stata piu’ volte osservata. ”Chiediamo al Presidente della Regione e Commissario Chiodi di prendere una posizione nei nostri confronti – ha esortato Nusca – Perche’ adesso il problema diventa politico. Se anche questa strada verso la ricostruzione verra’ interrotta dal Tribunale, ne risentira’ negativamente tutto il processo. Niente piu’ studi, ricerche, suggerimenti, niente Piani, niente ricostruzione. E il circolo vizioso andra’ avanti. Cittadini costretti a trovare altre soluzioni abitative, distacco emotivo, abbandono dei centri storici”. Naturalmente c’è chi polemizza sulla scelta dei tre “sindaci disubbidienti”, che favorisce alcune Università a scapito di molti capaci liberi professionisti. Credo anche che non mancheranno, a breve, polemiche sulla ordinanza di Berlusconi sulle macerie, con un giro di accuse reciproci rimpalli di responsabilità sui ritardi, che non faranno altro che ritardare ulteriormente i tempi della ricostruzione e incrementeranno quel clima di rancoroso revanscismo che sta avvelenando strutturalmente la nostra comunità. Il fatto è, io credo, che occorrerebbe tener conto che esiste, fra gli abitanti del cratere e ad ogni livello, una situazione diffusa di “nostalgia del futuro”, per usare una felice espressione del prof. Casacchia, che ha generato stratificate macerie interiore, difficili da individuare e rimuovere, forse più di quelle materiali ed esterne. Personalmente credo che la gioia dei nostri progetti sia contenuta nella nostra forza e nei nostri tentativi di raggiungere le nostre mete. Sia contenuta nella fiducia che quel progetto prima o poi si realizzerà, dentro di noi che lo immaginiamo, che lo sogniamo, che facciamo i tentativi per andare a vedere qual’è la strada da seguire, giusta o sbagliata che sia. La gioia dei nostri progetti è quell’energia dentro di noi che ci aiuta a vederli realizzati, che ce li fa immaginare oggi come saranno domani. Ma questa gioia è venuta meno durante questi terribili 26 mesi, soffocata da paura, rancore, personalismo, pressappochismo e lassismo, variamente dipinti, espressi e combinati con una tavolozza di colori non meno variegata delle pitture con cui si è modificato l’orizzonte urbano delle periferie ricostruite, divenute non meno variopinte ed improbabili di suburbi medio-orientali e svincolate da ogni ordinata norma edilizia, composta di equilibrio e legame alla tradizione e al buon gusto. Ciò che so e sto verificando, giorno dopo giorno, è la terribile realtà di macerie interiori non rimosse, né riordinate, che alimentano il rammarico per ciò che poteva essere e non è stato, generando sentimenti di astio, se non addirittura di aperta ostilità, per chi, spesso solo apparentemente, è più realizzato e soddisfatto di noi, con la ricorrente percezione della caducità dell’esistenza e la più completa e ostinata sfiducia per la vita e le sue promesse, minando alla radice lo stato emotivo individuale e collettivo che perde, giorno per giorno, quell’inclinazione al sorriso e alla giocosità intelligente, che invece ci indurrebbe a riprendere, invece che discutere, su ogni idea e su ogni proposizione. Ci siamo conferiti un aspetto sempre più cupo e siamo giunti a scambiare per serietà uno stato di afflizione interiore sempre più marcato e inconsolabile, una specie di morbo che in qualche maniera ci interessa un po’ tutti e genera una sorta di incurabile immaturità, se non addirittura di completa insensibilità per le sorti di tutto ciò che non sembra direttamente riguardarci. E così si finisce per trasferire al circostante attese e sentimenti che sono solo nostri, in un pessimismo cosmico che ci fa vedere di ogni incontro o situazione solo e sempre le sue negatività, quasi atterriti da coloro i quali, invece, riescono ancora a percepire, con il cuore, l’esatto contrario: ovverosia un lento ma inarrestabile divenire verso il pieno e mirabile compimento di quel divino progetto della creazione, che attraversa sì fasi di caos, ma che tende naturalmente ad un ordine migliorativo, in cui tutti possano finalmente tornare a beneficiare del suo rinnovamento-rivolgimento, che vuole, anche simbolicamente, esprimere il perenne trionfo della speranza sull’ arrendevolezza, del bene sul male e, in definitiva, della vita sulla morte. Ed ecco allora riaffiorare l’atavica sfiducia verso il prossimo e la poca disponibilità verso un’esistenza che comunque ci considera e ci vorrebbe protagonisti, ma con un atteggiamento di piena coerenza con la propria natura e di rispetto per tutto ciò che, umano, animale o ambientale, ci circonda. Ecco che, col volto coperto dai veli del rancore ed il cuore ingombro di macerie, ogni proposta ci pare sbagliata ed ogni iniziativa da criticare. Antonio Mercurio ci insegna che “la gioia nasce dalla realizzazione come Persona, dalla scoperta di se stessi, dalla capacità di affermare la nostra libertà, dalla scoperta della nostra identità personale e della sua realizzazione nella creatività, dalla scoperta della capacità di amare gli altri come parte del proprio essere, non come estranei da noi”. Sempre Antonio Mercurio ci indica come si attua la gioia, con una sequenza: “rinuncia del piacere, accettazione del dolore necessario per attuare un passaggio e per la conquista della meta, gioia della meta conquistata” Seguendo queste indicazioni possiamo toccare concretamente la gioia e sorridere nel nostro profondo e non lasciare che le macerie delle nostre speranze infrante cancellino dal nostro orizzonte ogni prospettiva di incontro e di ricostruzione. Basta con diffidare di ogni cosa e di tutti, di guardare con sospetto ad ognuno e di occuparsi solo del proprio, senza accettare alcuna regola etica o di comportamento. Basta col vivere in cagnesco, chiusi ad ogni emozione e preoccupati solo del compimento di quello che immediatamente ci riguarda, senza tener conto che ci riguarda, in primo luogo, la salute interiore del nostro vicino e la crescita intera della comunità. Che differenza c’è tra un progetto di immediata realizzazione ed uno a lungo termine? Una cosa desiderata e presto ottenuta è molto appagante per il nostro senso del piacere. Ma quale gioia profonda proviamo quando, dopo un lungo periodo di progettazione, impegno, lavoro, dedizione e fiducia continuamente rinnovata, possiamo finalmente gustare il bel risultato ottenuto e voltarci indietro a guardare tutta la lunga strada percorsa. Eh si, perché c’è un senso di soddisfazione profonda dato dal cammino stesso più che dalla mèta raggiunta. Nella mia esperienza personale l’elemento fondamentale per riuscire a perseguire un progetto a lungo termine è quello della fiducia. In un lungo percorso è del tutto normale incontrare ostacoli, timori, blocchi interni e impedimenti esterni. L’unico modo per proseguire lungo il cammino però, quando il traguardo non è ancora in vista, è quello di rinnovare continuamente la fiducia che lo raggiungeremo e, magari, riuscire pure a pregustare la gioia e l’appagamento che proveremo. E ancora, credere che tutto questo potrà essere fatto, più facilmente e meglio, in compagnia degli altri, non nemici da guardare con sospetto, ma compagni di viaggio, lungo una china irta e difficile, ma che non occorre fare più grande ed impervie con le nostre diffidenze e paure
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