Volti tra le pietre: Ashby a S.Domenico


L’Aquila – (di Carlo Di Stanislao) – Nel chiostro dell’ex convento di San Domenico, a L’Aquila, è stata allestita una mostra fotografica che raccoglie gli scatti realizzati in Abruzzo dal fotografo britannico Thomas Ashby, nel periodo 1901-1923: una mostra di scatti inediti che ripercorre i frequenti viaggi che Ashby fece nella nostra Regione. Lo studioso inglese, oltre che archeologo e topografo, era, infatti, anche un valente fotografo, che comprese da subito l’importanza della valore documentario della fotografia, che utilizzò ampiamente, a supporto dei suoi studi. Di foto ne scattò circa 9.000, fra il 1890 ed il 1925, sistemate in 18 album, conservati nell’archivio fotografico della British School di Roma. Oggi i la collezione Ashby è completamente catalogata grazie a un finanziamento di The Getty Foundation e disponibile alla consultazione nel catalogo della rete URBS, Unione Romana Biblioteche Scientifiche (www.reteurbs.org). Ashby fu un assiduo frequentatore degli scavi del Foro Romano e della campagna romana, ma le sue testimonianze fotografiche raccontano di viaggi in Giappone, Africa, Australia, America. Fra il 1901 ed il ‘26 compì parecchie escursioni in Abruzzo, del quale documentò soprattutto l’elemento etnografico. Molte le immagini di persone, fiere paesane, celebrazioni religiose, di paesi e luoghi all’epoca ancora intatti, a causa dell’isolamento secolare‘in cui era stata lasciata la regione. Sono 80 le immagini inedite che riguardano l’Abruzzo, molte delle quali ritraggono i luoghi colpiti dal sisma del 2009. L’Aquila, Chieti, Pratola Peligna, Cocullo, Sulmona, Tagliacozzo, sono solo alcuni dei luoghi che testimoniano lo stile del viaggiatore e dello studioso, che rimane a tutt’oggi un punto di riferimento per gli studiosi della materia. La mostra aquilana può essere visitata gratuitamente dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 18, sino al prossimo 8 luglio. Archeologo e storico dell’architettura (Staines, Inghilterra 1874 – Londra 1931), dopo gli studi in Patria, Ashby si trasferì (1901) per completare la sua formazione a Roma, alla British School at Rome, di cui, successivamente, divenne il direttore. Si dedicò a studi sulla topografia di Roma e del suo territorio, fotografandone estensivamente le rovine. Ancora fondamentali rimangono le sue opere sulla Campagna Romana (The Roman Campagna in Classical Times, London 1927) e sulla topografia di Roma (A Topographical Dictionary of Ancient Rome, London 1929). Altri lavori sono The Architecture of Ancient Rome, London 1927 e The Aqueducts of Ancient Rome, Oxford 1935. Spinto dalla passione per l’archeologia, all’inizio del secolo scorso, come detto, percorse poi a più riprese il Lazio e l’Abruzzo, alla ricerca di antichi ruderi romani da fotografare. Ma più che le pietre Ahsby si innamorò dei volti estratti dalla vita quotidiana, di una civiltà appena unita all’Italia e che, tra rigurgiti di brigantaggio e fantasmi di guerra, cercava la sua nuova dimensione in una modernità difficile da accettare. Quattro anni, fa presso la sede di The British School at Rome, si è svolta una mostra dagli importanti risvolti storico-documentaristici: “I giganti dell’acqua. Acquedotti romani del Lazio nelle fotografie di Thomas Ashby. 1892-1925”, con pubblicazione di un omonimo, interessantissimo volume. La mostra aquilana, inaugurata l’11 giugno, propone immagini fotografiche, stampate con l’antica tecnica al carbone ed è accompagnata dal volume “Thomas Ashby Viaggi in Abruzzo 1901/1923”, a cura di Vienna Tordone e realizzato in collaborazione con l’Università d’Annunzio di Chieti. Sono anche distribuiti in mostra tre portfolio tematici, contenenti ciascuno otto immagini di grande formato e introdotti da testi di Franco La Cecla, dedicati a “L’Aquila” e ai “Riti e miti, Abruzzo”. Lo sguardo di Ashby colpisce perché va molto oltre l’archeologia, l’antropologia e l’architettura. L’Abruzzo che lui cerca e trova, percorrendolo a piedi e in bicicletta, è il luogo dove, accanto alle pietre e ai reperti delle vestigia romane, vi deve ancora essere quella cultura che delle pietre è la continuazione, l’autentica durata. Una cultura da registrare in fretta – con mezzi nuovi come la fotografia – e accuratamente – con trascrizioni, interviste, appunti – perché, Ashby lo sa bene, presto sarà cancellata dall’avvento della modernità. L’organizzazione della mostra aquilana è curata dal British school, in collaborazione Ad. Venture di Pescara (in particolare Monica Giuliato, Ivano Villani e Franco Mancinelli) e con gli autorevoli patrocini dell’ Unesco, dell’ ambasciata britannica di Roma, della presidenza della Repubblica, del Cnr, del ministero per i Beni e le attività culturali, delle università di Chieti Pescara e Teramo e di tutti gli enti politici regionali. Media partner è il quotidiano “il Centro”. Nel guardare le foto di Ashby, si comprende che una foto non è mai completamente oggettiva, ma riflette le singole soggettività dell’autore e di chi la guarda, frammenti di vita percepiti e raccontati con sensibilità diverse, ombre platoniche proiettate sulle pareti della caverna, proiezione “acheiropoietica” di quella del sudario del Cristo (oggetto indipendente dalla nostra volontà, l´ombra è in sé stessa un segno acheiropoietico), con le immagini più pregnanti che sono quelle più vicine a scene di vita primitiva, ormai irrimediabilmente perduta. La fotografia, in fondo, conserva la traccia di una scrittura d´ombra, ma è, allo stesso tempo, “scrittura di luce” e dunque l’espressione tangibile del segreto di una fonte luminosa, venuta dalla notte dei tempi. Il controsenso è sempre dell´ordine del realismo, dell´alterazione del senso attraverso l´”informazione”. Viene da pensare a una riflessione di Wittgenstein sulla scena teatrale: uno scenario di alberi dipinti è molto meglio che uno di alberi veri, che distrarrebbero l´attenzione da ciò di cui si tratta. Gli oggetti, pare dirci Ashby con le sue foto, sono sensibili alla ripresa quanto gli esseri umani: da qui l´impossibilità di testimoniare la loro realtà oggettiva. Quest´ultima è un´illusione tecnica, che dimentica che essi entrano in scena nel momento dello scatto e che ciò che la fotografia può fare di meglio, ciò di cui può sognare, è di catturare questa entrata in scena dell´oggetto, escludendo ogni messa in scena o artificio stilistico.


15 Giugno 2011

Categoria : Cultura
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