L’opinione – Sport (s)calciato


(di Carlo Di Stanislao) – Sedici arresti fra cui Beppe Signori, con partite di Serie B e Lega Pro coinvolte. E adesso si parla anche di Serie A: cinque le squadre che potrebbero essere coinvolte, se si fa riferimento alle dichiarazioni di Marco Pirani, medico odontoiatra di Ancona, al centro, pare, di questo nuovo scandalo nel mondo del calcio. Le informazioni fornite da Pirani non sarebbero comunque di prima mano e forse lui è solo una pedina, manovrata da interessi enormemente più grandi e strutturalemente più malavitosi. Intanto Stefano Bettarini, ex calciatore di Sampdoria e Bologna, parla ai microfoni del Tg1, gridando ai quattro venti la sua innocenza e ricordando lo scandalo che lo coinvolse nel 2004, portandolo al divorzio da sua moglie, la celeberrima Simona Ventura. Nella rete sono finiti anche degli abruzzesi, coinvolti a vario titolo: il calciatore ventiseienne Micolucci, che milita nel Giulianova e l’agente di scommesse pescarese Massimo Erodiani , amico di Pirani. Una volta era il gioco più bello del mondo, capace di appassionare intellettuali e gente comune. Ora, dopo l’ennesimo scandalo delle scommesse, il calcio vive il suo momento peggiore. Dopo “Calciopoli” questo nuovo scandalo con un giro d’affari di 4 miliardi di euro ed utilizzo di conti gioco su piattaforme estere illegali, per non poter essere intercettati, mina la residua credibilità di un mondo investito già da molte ombre, dentro il campo e sopra gli spalti. “Le squadre di calcio sono da sempre controllate dalle mafie che gestiscono il calcio scommesse, condizionano le partite, riciclano soldi”. Parole di don Luigi Ciotti pronunciate lo scorso luglio, in occasione della presentazione a Roma del dossier di Libera “Le mafie nel pallone – storie di criminalità e corruzione nel gioco più truccato al mondo. Potenza calcio: il caso limite”. Nel dossier si diceva che ammontano a più di 30 i clan malavitosi coinvolti nell’affare calcio, come emerge dalle principali inchieste della magistratura: solo per fare alcuni nomi basti pensare ai Lo Piccolo, ai Casalesi, ai Mallardo, ai Misso, ai Pesce ed ai Santapaola. Le mafie così si assicurano anche visibilità e presidio del territorio e, stando alle dichiarazioni dei collaboratori, utilizzano il calcio giovanile per attingere nuova manovalanza. Un business illegale che non lascerebbe immune nessuna regione italiana, a partire dalla Lombardia al Lazio – dice il dossier – fino alla Campania, Basilicata, Calabria, Puglia e Sicilia, dove il radicamento sarebbe profondo. Emblematico, dice ancora il dossier, il caso del Potenza: in seguito a due anni di indagini il 23 novembre 2009 viene arrestato il patron della società, Giuseppe Postiglione per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Il procuratore Francesco Basentini accusa Postiglione di aver scommesso forti somme su ben sette partite di Prima Divisione del campionato del 2008-2009 e su una di serie B del 20 aprile 2008, Ravenna-Lecce. Solo da quest’ultima, dice il magistrato, Postiglione avrebbe ricavato 86 mila euro. Circa l’attuale ondata di scandali-scomesse, Famiglia Cristiana ci dice che il marcio non è del calcio, ma dello sport in genere e conclude, amaramente, che ancora una volta lo sport è metafora della vita, in questi anni tutta dedita a vincere ed affermarsi, a qualunque costo e al di sopra di ogni regola o morale. Adesso che il coperchio è stato sollevato, adesso che il tribunale di Napoli commina cinque e passa anni a Moggi e tante pene per tanti altri, adesso che lo sport dei motori registra costanti sospetti di trucchi sempre più sofisticati e nelle due ruote si moltiplicano i casi di doping, mentre si apprende che mezza Asia scommette su partite europee di cui si sa poco, mentre si comprano e si vendono organizzazioni dei Giochi olimpici, assegnazioni dei campionati del mondi di calcio e via dicendo; resta da chiedersi cosa resta di veramente sportivo nello sport, almeno come lo si intendeva un tempo. Più volte diciamo che sarebbe auspicabile che lo sport fosse un’agenzia educativa, ma esempi così deleteri rendono estremamente problematica la sua utilizzazione per la crescita, non solo agonistica, ma anche morale e civile dei giovani. Ma, come dicono alcuni, pare che non bisogna arrendersi, poiché anche quando tutto sembra marcio o melmoso, anche sapendo che un giocatore ha somministrato del sonnifero a dei compagni, causando un incidente d’auto ad uno di essi, resta pur sempre una parte di sport vero, puro, innocente. D’altra parte il problema corruzione e sport è antico più di quel che si crede, se è vero che già Euripide, nel quinto secolo avanti Cristo, ne denunciava lo schifo. Laddove il risultato sportivo dà fama, ricchezza, soldi ed altri benefit, ecco che scatta la tentazione di raggiungere l’obiettivo a qualsiasi costo e magari adottare comportamenti truffaldini. È un rischio congenito nell’organizzazione dello sport di vertice, contro il quale non si deve alzare bandiera bianca, ma riconoscerne e contrastarne insidie e pericoli. Lo scorso 24 maggio dall’Ambulatorio Medico Sportivo Santa Crescenzia di Magenta, che anche quest’anno ha risposto positivamente alla campagna di prevenzione lanciata dall’ASL Milano 1, si è gridato forte lo slogan: “Nella vita, come nello sport, non si deve imbrogliare”. E di persone che non imbrogliano, in nessun caso, ancora ve ne sono, in vari ambiti sportivi. Il 2 giugno, in piena “scommettopoli”, una intervista a Carlo Petrini ci ha riportato al calcio vero, allo sport puro e faticato, al “fango dei dio Pallone”, titolo del primo suo primo libro, scritto dopo essere stato un calciatore celebre negli anni settanta, tornato in Italia, dopo averla abbandonata, per debiti e tutta una serie di conti che non tornavano, anche con il mondo del calcio. Petrini da allora (era il 2000) di libri ne ha pubblicati sette e, adesso, dal primo, è stato tratto un documentario ed un’opera teatrale: “Centravanti nato”. Nella sua intervista Petrini dice che il calcio di oggi non lo guarderebbe più, ma tornerebbe a farlo, se in gioco fossero solo bravura, lealtà e coraggio e non accordi fuori da ogni norma. E come dargli torto quando si apprende che la rielezione alla guida della Fifa del settantacinquenne Joseph Blatter, la quarta di fila, è stata scandita da denunce incrociate di corruzione fra i possibili competitors, accuse di tangenti per l’assegnazione del Mondiale 2022 in Qatar e la “squalifica” per mano del comitato etico nominato dallo stesso Blatter degli avversari. Solo la Federazione inglese e Diego Armando Marandona, da sempre nemico dell’establishment, sono scesi in campo (invano) per chiedere il rinvio del “plebiscito” per lo svizzero padrone del calcio da oltre vent’anni. Dalla Finlandia all’Europa dell’est, dalla Penisola del pallone all’Africa, si susseguono voci di partite truccate e inchieste di infiltrazioni della criminalità organizzata. Voci e inchieste che non risparmiano neppure le nazionali. La Fifa ha appena aperto un’inchiesta sull’amichevole tra Nigeria e Argentina giocata ad Abuja. La Nigeria vinceva 4-0 contro un’Argentina rimaneggiata, ma a quel punto si è assistito a un picco di puntate sul quinto gol. Nonostante fosse un’amichevole, l’arbitro del Niger Ibrahim Chaibou prima ha concesso un recupero-monstre di 5 minuti, poi ha assegnato un rigore, a seguito di un fallo di mano totalmente inventato, e infine ha permesso al centravanti Boselli di segnare, anche se nel frattempo si era arrivati al minuto 98. E Chaibou era anche l’arbitro di una fantomatica amichevole tra Bahrain e Togo del 7 settembre 2010, organizzata da un chiacchierato peruviano, Wilson Raj Perumal, già sotto processo per aver truccato match del campionato finlandese, in cui al posto del Togo scese in campo una squadra taroccata. Troppe voci, troppi dubbi, troppe inchieste per credere che qualcosa, ancora possa essere salvato. Ma io sono fra coloro che vogliono credere che il calcio e lo sport sono ancora in grado di guarire, grazie alla passione, alla squadra, agli ideali, ai grandi maestri (che un tempo vi erano e forse, a sprazzi, sono restati), che insegnavano soprattutto a fare un buon dribbling, a palleggiare bene, a fare squadra e non a come giungere a fare soldi e successo, in pochissimo tempo. E anche se corruzione e sport sono un binomio antico, il pericolo di oggi il pericolo non è soltanto la banalità atroce di scendere ad ogni compromesso per il successo, ma di andare incontro ad uno sport che crea dei mostri, scambiati per modelli. Negli anni non remotissimi della mia gioventù, pochi giocatori diventavano ricchi al termine di una carriera. La maggior parte dei giocatori mettevano su un bar, al paese, con la foto dei loro giorni di gloria. Ma, in poco tempo, tutto è cambiato, perché ci sono ingaggi pazzeschi, ingaggi folli da parte di società indebitate fino al collo e che pure continuano con spese faraoniche. Eppure, siccome credo nella ciclicità della storia e nei corsi e ricorsi, sono certo che il calcio e lo sport possono recuperare non dico una innocente purezza, ma una autentica credibilità. Ma per fare questo occorre in primo luogo cambiare la televisione ed il giornalismo sportivo in generale, che sia capace di raccontare la verità e di smascherare le menzogne, raccontando quello che c’è dietro a una grande impresa e cercando di scoprire se quell’impresa è reale, oppure truccata e falsa. Per ora sogno questa ritorno alla purezza seguendo l’esempio di Darwin Pastorin, calciatore e giornalista sportivo della mia generazione e quando lo schifo giunge al massimo mi riguardo dei vecchi filmati, in bianco e nero, ad esempio del Brasile che vinse nel 1958 la Coppa Rimet, con dei ragazzi che come droga avevano soltanto il succo d’arancio o quello d’ananas. Uno di loro aveva 17 anni e si chiamava Pelé e senza mai aver avuto il bisogno di drogarsi, sarebbe divenuto il più grande calciatore di tutti i tempi. Poi ne è arrivato un altro di campione fuori dagli schemi e sopra tutti gli altri: Diego Armando Maradon, che si è drogato non per essere il migliore, ma soltanto per un vizio personale, perché la cocaina non lo faceva giocare meglio, ma lo poneva solo in condizioni di giocare. Il calcio è lo specchio dei popoli ha detto qualcuno e l’esempio di quello che è oggi il calcio è la nostra nazionale, ai mondiali sudafricani dello scorso anno: vecchia, impaurita, senza fantasia e soprattutto senza futuro, che sperava di vincere con i sotterfugi, con il caso e la fortuna. E se è vero tutto questo, nonostante la crisi, nonostante gli “indignatos” ed il malumore sociale, speranze ne ha la Spagna, la cui nazionale incarna il vero gioco contemporaneo: giovanile, fantasioso, moderno, tecnologico e, soprattutto, concretamente pulito. Sabato 28 maggio, allo stadio Wembley di Londra, il Barcellona ha battuta seccamente il Manchester, confermandoci in questa idea. La giovanile sportività spagnola ha travolto le vecchie regole del calcio inglese, con la squadra di Guardiola che ha dimostrato una superiorità tecnica e di gioco impressionante, tanto da rendere i Red Devils per lunghi tratti impotenti e rassegnati. Perché mentre il Manchester parla solo con linguaggio di Rooney, il Barca ha giocatori forti e che fanno squadra e quadrato attorno a Messi e, soprattutto, uno stile d’insieme che fa riemergere i vecchi tempi del calcio, ma con movenze e creatività già proiettate nel futuro. E non sarà per caso, credo, che episodi di corruzione non se ne registrano nel calcio spagnolo.


07 Giugno 2011

Categoria : Sport
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