Riflessioni – Angelo Nuovo


(di Carlo Di Stanislao) – Tutti nel Pdl si affrettano a definire quella di Alfano segretario “un’ottima scelta” e lui, anche se non ancora in funzione, ha già dichiarato, al TG1, l’intenzione di rilanciare il partito, rinforzare l’alleanza con la Lega e creare le premesse per vincere di nuovo le elezioni nel 2013. Vi è solo qualche distinguo (quello del ministro Romani che dice che serve impegnarsi nell’azione di governo e quella di Pionati e di Fitto, sulla stessa lunghezza d’onda, mentre la Mussolini dice che che “serve un congresso”), ma, nel complesso, è un grande festival di complimenti al neo-segretario, il quale dichiara che, non appena in ruolo, lascerà la poltrona di Guardasigilli (già si pensa a Lupi per la sostituzione), ma non prima di aver varato un decreto legge per snellire le procedure civili. Non si pronuncia, invece, il neo-segretario, sul fatto che sempre più numerosi esponenti del Pdl dicono “basta con le Minetti e con i nominati dall’alto” e invocano, d’ora in avanti, le primarie per la scelta dei candidati. E’ il metodo suggerito sul “Foglio” da Ferrara, che però ricorda: il vero grande problema rimane “iddo”, cioè Berlusconi. Quagliariello, capogruppo vicario in Senato, ha già lanciato la proposta di regolare le primarie per legge e Osvaldo Napoli applaude, segnalando, però, sommessamente che: “Ciò comporta un sistema elettorale maggioritario”. Alfano, riservato e dialogante, piace anche all’opposizione: ai colleghi cattolici perché è cattolico (ha studiato alla Cattolica) e tiene una boccetta di acqua di Lourdes sulla scrivania; ai laici per il piglio laico; ai liberali per il piglio liberale e piace ai suoi perché è leale. Inoltre, piace al Sud perché è meridionale e al Nord perché è lavoratore; a Silvio Berlusconi perché “è un siciliano che parla italiano!”, perché è elegante, è alto, è pacato, piace alle femmine, ma lui è serio e fedele alla moglie, Tiziana, capelli rossi e gelosia proverbiale. Alfano è stato capace di muoversi con intelligenza e misura nelle difficili acque della politica, mai fuori tono, né sopra le righe. E’ un quarant’enne con aria molto matura, che va a cena con personaggi illustri e diversi: da Angelo Rizzoli e Sandra Carraro a Bruno Vespa, capace di stringere le più potenti e apprezzate e riservate mani di Roma. Piace perché il suo conservatorimo è democristiano e per di più riscattato dall’amore per Francesco Guccini, il cantautore della giustizia proletaria, di cui conosce la produzione a memoria e la canticchia, come scrisse Pietrangelo Buttafuoco, perché cantare è sfacciato, ma canticchiare è garbato. Ha ragione quindi Mattia Feltri, che parafrasando una filastrocca siciliana, scrive su La Stampa: “Angelino / che meraviglia / piace al papà, alla mamma e alla figlia”. Certamente la scelta è stata esclusivamente del Cavaliere, solo e soltanto di Berlusconi (come scrive oggi Libero), che dopo averlo voluto come più giovane ministro della Giustizia nella storia della Repubblica, lo ha collocato in un ruolo chiave nel Pdl del futuro; ma è piaciuto per lo più a tutti. Ora, però, vi sono alcuni punti da scogliere. Ad esempio la fine che farà il tridente dei coordinatori che, per ora (nonostante le dimissioni immediate ed uniche di Bondi), e almeno fino al congresso, viene confermato. Il Cavaliere, dopo la batosta ai ballottaggi, voleva un cambio più radicale; ma poi, di fronte all’opposizione dei fedelissimi, ha cambiato idea: un segnale di rinnovamento va certamente dato, ma senza umiliare la vecchia guardia e tanto meno punire chi fino a questo momento si è sacrificato per il partito. C’è poi anche problema dell’area ciellina in seno al Pdl, molto ben sintetizzato dalla dichiarazione di Formigoni sulla nomina di Alfano: “Alfano è una risorsa spendibile e farà bene al partito. Ma il problema, per quanto riguarda i cambiamenti, è trovare il modo dopo 3 anni di coinvolgere la gente ecco perché insisto con le primarie”. Da semplice deputato di belle speranze a testa d’ariete di Silvio Berlusconi sulla giustizia, Angelino Alfano, nato a Agrigentino, classe 1970, è stato ancora una volta promosso sul campo, perché, oltre che abile tessitore di stampo vetero-democristiano, infaticabile e scaltro nel tessere reti e rapporti (con Miccichè, la Prestigiacomo e soprattutto Schifani), è uno che, indubbiamente, non ci mette solo la faccia, ma tutto se stesso per portare a termine una missione. Sorriso perenne sulle labbra e nervi d’acciaio, Alfano è noto per il suo aplomb che ha ‘tradito’ solo una volta, quando in aula, alla Camera, tra la sorpresa generale, ha gettato via, come un frisbee, la sua tessera per votar,e che è andata a finire tra i banchi dell’Idv. Poco male davvero se si considerano i plausi raccolti anche dalla opposizione e il fatto che è il più gradito a Nopolitano in seno al governo. Ieri, durante la sfilata per la Festa della Repubblica, Berlusconi ha subito capito che non era aria da bagni di folla e, dopo la fugace stretta di mano con Napolitano (apprezzatissimo, invece, come e più di sempre), in piazza Venezia riceve una prima bordata di fischi. Da piazza Venezia alla tribuna d’onore ci sono troppi metri e troppa gente dietro alle transenne. Davanti a 80 delegazioni straniere, quasi 40 capi di Stato e in piena diretta tv, quelle transenne rischiano di trasformarsi in forche caudine. Un rischio che è meglio non correre. Così il presidente del Consiglio decide al volo di cambiar programma e si fa il tragitto in auto. Quindi sale sul palco, s’ignora con Fini, stringe invece la mano a Bersani e Casini. E pure ai ministri Maroni, Frattini, Alfano. Saluta gli ospiti stranieri, poi parla fitto con Maurizio Lupi. Si accorge subito che, al contrario di lui, Alfano è fatto oggetto di sorrisi e strette di mano e, in cuor suo, è felice di averlo scelto per salvare il salvabile. Berlusconi siede in prima fila, alla destra del presidente del Senato, Renato Schifani: i due parlottano coprendosi la bocca con le mani per sfuggire alle telecamere. Alla conversazione poi si unisce brevemente il capo dello Stato, che nel frattempo è arrivato e si colloca in mezzo, tra Schifani e Fini. Fa caldo, le hostess passano con i vassoi servendo acqua e succhi di frutta, Berlusconi beve molto, a tratti chiude gli occhi, sembra assonnato, ma si ripiglia in fretta, si alza e si risiede, non perdendo mai un colpo al passaggio dei vari battaglioni (sfila, un po’ nascosta, anche Barbara Lamuraglia, la crocerossina che l’anno scorso destò il suo interesse dalla tribuna). Ma poi, immancabile, ecco lo strappo al protocollo. Berlusconi si alza e si avvicina al re di Spagna, Juan Carlos, che è seduto poco distante da lui, alla sua destra. Il premier ha appena saputo che il re ha un ginocchio che gli duole e così vuole invitarlo a non affaticarsi troppo, alzandosi e abbassandosi in continuazione per salutare le truppe. Però, mentre fa questo, lo tocca: un gesto che non è consentito dall’etichetta, che vieta infatti a chiunque si avvicini al re di fare il primo passo per stringergli la mano (anche se un decreto spagnolo del 1987 sul trattamento dei membri della famiglia reale non fissa princìpi né regole precise). Succede allora che Napolitano gli dice qualcosa e Berlusconi si rialza, va di nuovo da Juan Carlos, ma stavolta non lo tocca, gli parla solo e quando si risiede fa un segno con le mani al Capo dello Stato come per rassicurarlo e, in cuor suo, si duole di non essere elegante e sempre all’altezza come Letta o, appunto, Alfano. Ma una nube gli attraversa il cuore: non sarà così perfetto Alfano, da riuscire e anche in breve, a sostituirlo, relegandolo a quel ruolo onorario di padre nobile di cui ha parlato, ma a cui non mai davvero creduto? Tornando a fatti più seri e di interesse generale, politicamente c’è da concludere una legislatura in cui molto da fare. Per questo Alfano dovrà anche pensare di riaprire le porte del governo a vari utilissimi transfughi, come e “futuristi” Adolfo Urso e Andrea Ronchi: il primo per la poltrona di ministro delle Politiche comunitarie, il secondo come viceministro. Serviranno, infatti, esecutivo e maggioranza compatti perché, come scriveva già prima del disastro elottarale il direttore di Libero Maurizio Belpietro in suo editoriale, la magistratura pè sempre pronta ai tranelli, la Lega sempre inquieta e, allora, l’unica è portare a termine la riforma della giustizia e quella sul federalismo, per mettre mano alle riforme strutturali e sul lavoro. Solo se al’interno il Pdl sarà pacificato, potrà operare coeso in questa complessa direzione e, questo, rende il ruolo di Alfano, quanto mai sensibile, delicato e centrale.


03 Giugno 2011

Categoria : Politica
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