Storia degli idrocarburi in Abruzzo


L’Aquila – Riceviamo da RSU (Rappresentanza Sindacale Unitaria) e lavoratori Edison SpA ed Edison Stoccaggio: “I sindacalisti e i lavoratori della Edison danno un contributo sulla base di un’esperienza pluridecennale, criticano il blocco della ricerca e chiedono alla politica e alle istituzioni scelte informate e consapevoli.
Economia virtuale ed economia reale
Che amministratori e politici vogliano dare un futuro ai nostri territori basato sul rispetto dell’ambiente minimizzando i rischi è pienamente legittimo e condivisibile. Che si desideri progettare lo sviluppo facendo perno su attività connaturate alla vocazione della nostra Regione è altrettanto accettabile. Quali sono le ragioni per cui l’attività di ricerca di idrocarburi dovrebbe essere considerata incompatibile con le altre attività? Se proviamo ad analizzare la storia di questa attività nella nostra regione ci accorgiamo che non vi sono mai state incompatibilità e criticità con altri settori. Paradossalmente non si può affermare la stessa cosa nei confronti di altre attività ritenute per loro natura “verdi”.

Evidentemente ci sono dei problemi di impatto in tutte le attività, agricoltura compresa, in rapporto all’ambiente, ma non per questo si pensa di vietare tali attività.

Il voler negare qualsiasi forma di ricerca di idrocarburi in mare e a terra è una scelta possibile, ma appare incauta e ingiustificata sotto diversi aspetti, anch’essi fondamentali per uno sviluppo equilibrato, come lo è stato fino ai giorni nostri, anche se non altrettanto appariscente quanto altri settori ritenuti più rispettosi dell’ambiente.

Diversamente da quanto si vorrebbe denunciare, questo settore non ha creato problemi per l’ambiente ed è riuscito a svilupparsi anche con attività quantitative molto contenute, ma con investimenti importanti. Basti pensare, con basso profilo, che un pozzo a terra ha un costo di circa 3/6 milioni di Euro e uno in mare il doppio. Molti di questi soldi hanno contribuito a sviluppare imprese locali e nazionali, dando lavoro a molte persone, sicuramente in misura maggiore di quello che si è portati a pensare.

Inoltre, hanno creato una scuola di mestiere altamente tecnologica per tanti giovani laureati e diplomati Abruzzesi, che, attualmente, lavorano in tutto il mondo.

Le scelte radicali che la nostra Regione si appresta a compiere comporteranno la perdita di tutto questo, negando un futuro di lavoro e investimenti certi.
Chiunque sia chiamato a prendere decisioni dovrà misurarsi anche con questa responsabilità.

A volte sembra che queste “campagne” vengano orchestrate per tacitare i sensi di colpa che invece si dovrebbero avere per comportamenti che generano ben più gravi problemi ambientali.

Le scelte di divieto totale sono del tutto illusorie, considerando che le società alle quali si impedisce di far ricerca nel mare antistante la costa abruzzese porteranno i loro investimenti nello stesso mare, ma sottoposto a giurisdizioni diverse. Che senso ha negare la ricerca in acque territoriali italiane e rinunciare agli investimenti e al potenziale di lavoro, mentre altre nazioni affaccianti sul mare Adriatico lo permetteranno, anzi lo incentiveranno?
Le società alle quali viene impedito di operare nelle nostre acque, si sposteranno (anzi, lo stanno già facendo) solo di qualche miglio, in Croazia, Montenegro e Albania. Proprio di fronte alle nostre coste, al confine delle acque italiane, queste nazioni permettono l’attività di ricerca di idrocarburi in piena sintonia con i loro programmi di sviluppo energetici e di salvaguardia dell’ambiente.

Questa attività è ritenuta altamente strategica e di interesse nazionale da tutti i governi, e non potrebbe essere altrimenti. Se il problema è quello di limitare i rischi, dovremmo, ad esempio, vietare la navigazione nel mare Adriatico a qualsiasi nave petroliera, o comunque trasportante prodotti potenzialmente inquinanti; ma al momento questo è non è praticabile, e tutti se ne rendono conto.

La possibilità di successo nel campo degli idrocarburi sono molto aleatorie (una buona media è di un pozzo positivo su dieci perforati); per contro gli investimenti per eseguire i sondaggi sono certi; non altrettanto lo sarà la presenza di una testa pozzo di produzione. La perturbazione dell’ambiente è, in ogni caso, bassissima.

Per quanto concerne, infine, le immagini fotografiche che spesso appaiono sui giornali e che mostrano delle piattaforme petrolifere gigantesche, ebbene, in Adriatico, per l’attività di perforazione, si utilizzano solo dei piccoli impianti che comunque hanno, tanto per dare l’idea, la funzione che ha una gru in un cantiere edile che resta sul posto finché non si terminano i lavori, poi viene rimossa per essere utilizzata in altri cantieri.
Per la sommatoria di tutte queste considerazioni, il divieto di ricerca, che oltretutto è una attività a basso impatto ambientale, appare una scelta avventata e senza senso pratico.

Siamo peraltro convinti che dare questo piccolo contributo di voce “fuori dal coro” di esperienza condivisa, di storia di oltre 150 anni di questa attività nella nostra Regione, di concretezza della realtà, di considerazioni critiche sul reale impatto delle attività del settore idrocarburi, serva quanto meno ad acquistare consapevolezza delle conseguenze di certune scelte”.


01 Giugno 2011

Categoria : Dai Lettori
del.icio.us    Facebook    Google Bookmark    Linkedin    Segnalo    Sphinn    Technorati    Wikio    Twitter    MySpace    Live    Stampa Articolo    Invia Articolo   




Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento

Utente

Articoli Correlati

    Nessun articolo correlato.