Il mondo del libro e della carta


L’Aquila – La città terremotata è stata ancora una volta al centro di numerosi dibattiti nati in seno a “Volta la carta”, la Fiera dell’editoria indipendente apertasi ieri in un’isola felice, nella Cartiera del Vetoio. La sede della fiera, immersa in una natura incolta ai piedi del Lago Vetoio, come in quadro impressionista di Monet, ha richiamato scrittori, storici, intellettuali e studiosi intorno al mondo del libro e della carta, perché “la carta rimane uno strumento per salvare il nostro cervello nell’era della digitalizzazione”, come ha ricordato Walter Capezzali, Presidente Deputazione Storia Patria. “Voltare la carta è anche sinonimo di voltare pagina, senza dimenticare”, ha detto Umberto Longo, Docente di Storia medievale dell’Università “La Sapienza” di Roma, il quale ha ricordato il ruolo cruciale e necessario che tale operazione ha oggi per la città dell’Aquila. Nel suo intervento, inserito nella giornata di ieri dedicata al libro antico, sulle scritture della memoria il professore ha scandagliato il fecondo rapporto tra memoria e oblio e la necessità di archiviare le testimonianze della nostra civiltà. Quale discorso è più attuale e urgente di questo per una città, che se non fa i conti con il proprio passato, non sarà in grado neppure di affrontare il proprio futuro. “Noi pensiamo che la memoria sia qualcosa di solido” – ha aggiunto – “invece è qualcosa di dinamico che va riconfermato. Conservare la memoria è un’operazione che richiede uno sforzo”. Il rapporto tra storia e memoria è complesso e strettamente interconnesso. Insomma, “lo ieri non esiste senza l’oggi”, ha detto Longo.
L’ospite d’onore dell’iniziativa, la carta, costituisce “lo strumento fondamentale da cui partire per conoscere cosa siamo a partire da cosa siamo stati”, ha continuato Longo. Tuttavia, accedere al passato attraverso le fonti come fa lo storico non costituisce una garanzia sulla veridicità e sull’oggettività del risultato. “Perché le fonti” – ha spiegato il professore – “sono come finestre che permettono solo una visione parziale del paesaggio e spesso su di esse ci sono anche le tende, lenti più o meno deformanti attraverso cui ci rispecchiamo nel passato, come filtri culturali e politici”. La non oggettività delle fonti è legata al fatto che a produrle sono stati degli uomini e si sa che nessuno può essere completamente oggettivo. Per questo “la storia del passato è la storia del presente che lo indaga”, ha aggiunto lo studioso. Che la storia sia frutto di esigenze del presente assai più che del passato, lo dimostra la periodizzazione storiografica legata al Medioevo. L’Età di Mezzo è, a causa di analisi storiografiche ad esso successive, “anche un concetto, un’idea metastorica, una sorta di luogo comune, un pregiudizio”, ha detto Longo. Prova ne è l’associazione del termine con l’idea di barbarie e di inciviltà.
Esso sarebbe un pregiudizio di periodizzazione creato dagli Umanisti che la definirono Età di Mezzo, “ne carne né pesce”, ha specificato lo storico. Durante l’Illuminismo sarebbe continuata la “leggenda nera” del Medioevo come epoca dell’oscurantismo, che poi i Romantici avrebbero trasformato nell’epoca dei valori sani e puri, con la “leggenda rosa”. Sarebbero entrambe “interpretazioni storiografiche false, frutto della domanda iniziale del presente”.
Rivolgersi al passato è, quindi, un’operazione fondamentale per legittimare la propria identità, proprio come sta facendo oggi L’Aquila, anche alla Fiera dell’editoria attraverso alcune carte, alcuni libri che tentano di restituirle l’identità in un momento di forte scossa anche culturale e storica. Il processo di rimembranza è passato ieri, attraverso la presentazione di alcuni volumi storici come Il Palazzo di Margherita d’Austria all’Aquila (Ed. CARSA, 2011), basato sugli studi sulla storia del Palazzo Comunale in Piazza Palazzo, edificato a partire dalla fine del XIII secolo. Si tratta di un “lavoro corale nato da una sensibilità e una commessa importante, il restauro dell’edificio nel post-sisma, finanziato dalla Federazione Banche di Credito”, ha detto Giovanni Tavano, amministratore delegato CARSA. Il palazzo, frutto di numerosi stratificazioni architettoniche dalla fondazione della città (metà del 200) ai rimaneggiamenti dell’800 e del 900, ha sempre ricoperto un ruolo importante per la città come carcere, Palazzo di giustizia, Palazzo comunale, ma anche sede della corte di Margherita D’Austria.
Il libro, a cura di Walter Capezzali, Presidente Deputazione Storia Patria, non traccia solo la storia architettonica e materiale del palazzo, ma soprattutto quella culturale e storica, legata alla figura della figlia di Margherita D’Austria, figlia di Carlo V, governatrice perpetua della città dell’Aquila dal 1572. Con la venuta di Margherita la città tornò a vivere intorno alla sua enorme corte, che era stata a Firenze, Roma, Bruxelles, ricca di artisti, musici e letterati. In quel periodo L’Aquila divenne la seconda città più importante del Meridione dopo Napoli.
Il recupero del passato, quasi come un bibliotecario che spulcia tra le carte impolverate degli scaffali, passa anche attraverso il ‘restauro scritto’ del palazzo di Margherita D’Austria. Una simile operazione si è compiuta con altri due volumi. L’Aquila magnifica citade (L’Una Edizioni, 2010), a cura di Carlo De Matteis, Docente di Letteratura Italiana presso l’Università dell’Aquila, è una raccolta di fonti documentarie e immagini della città dei secoli XIII-XVIII, con un’interessante rassegna sulla storia dei terremoti dell’Aquila. Il titolo dell’opera deriverebbe da una cronica di Buccio di Ranallo che contiene “l’appellativo gratificante e commovente” – dice il curatore – “che richiama “Napoli città nobilissima”, la rivista di Benedetto Croce, oltre ad essere un titolo trecentesco nobilitante e di buon auspicio per la città”. Il libro “è stato venduto come il pane”, parole di De Matteis, a testimonianza della domanda da parte di chiunque di riconoscimento dell’identità e della necessità di trovare elementi di coesione sociale.
L’altro volume, L’Aquila spagnola (Aracne 2009) di Silvia Mantini, Docente di Storia moderna presso l’Università dell’Aquila, si concentra su un periodo storico della città, tra la metà del XVI e il XVII inoltrato per ricordare “un periodo in cui la città visse una vivacità culturale e un fermento quasi inaspettati”, ha precisato De Matteis.
A completare il pomeriggio all’insegna del libro antico, e quindi possiamo dire del passato riscoperto con gli occhi del presente, lo scrittore e giornalista RAI Piero Dorfles ha animato e incuriosito la platea con la presentazione del suo libro “Il ritorno del dinosauro” (garzanti 2010), un saggio per interpretare le contraddizioni della modernità. Un libro incandescente, perché di un dinosauro e “i dinosauri sono vecchi e antichi ma sono capaci di dare colpi di coda”, dice l’autore, che ha definito se stesso “un dinosauro molto arrabbiato e inferocito”. I colpi di coda Dorfles li sferza alla contemporaneità, o meglio all’ Italietta della televisione che lui non sa fare e non vuole fare, conducendo una trasmissione come “Per un pugno di libri” (Rai Tre). Un dinosauro è un colui “che si porta dietro la sua cultura e il suo passato, usa tutti i mezzi contemporanei e non, e lo fa in maniera responsabile. È colui che guarda la televisione in modo critico e se possibile arrabbiato”, ha spiegato l’autore. Lo strumento che il cittadino che vuole dire di no a ciò che ci circonda ha, è molto semplice e alla portata di tutti ed è il proprio comportamento individuale. Quest’ultimo, tuttavia, è vincolato dalla scarsa capacità di giudizio autonomo che contraddistingue il popolo italiano, se come spiega il giornalista “secondo il Censis, il 58% degli Italiani decide il proprio atteggiamento politico in base alla tv, guardando RaiSet (Rai + Mediaset, ndr)”. Per questo è necessario che “la Rai torni a fare servizio pubblico e che promuova trasmissioni non di cultura, ma con cultura e intelligenza”, ha aggiunto.
Non essendo prevalsa la responsabilizzazione di ognuno, sarebbe nostra la colpa della diffusa mediocrità, volgarità e conformismo politico. “È facile dire che la società civile è migliore della classe dirigente, che dovrebbe essere la parte migliore della società” – ha detto lo scrittore – “se invece è mediocre, vuol dire che la parte principale di responsabilità è nostra che l’accettiamo”. Ciò che l’abitudine ci ha portato ad accettare è ad esempio il “familismo morale”, capace di giustificare “la raccomandazione, la giusta conoscenza, lo scambio di favore per tutti e a vantaggio di chiunque”.
Poiché il nostro paese è di fronte ad una crisi soprattutto “culturale”, come per l’Italia così e soprattutto per L’Aquila “si deve difendere la cultura anche quando la città è distrutta, ma con più forza perché” – avverte gli aquilani – “se non lo fate a perdere è il futuro della città”.


27 Maggio 2011

Categoria : Cultura
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