Erotica melanconia vitale in Eugenio Scalfari
(di Carlo Di Stanislao) – “Scuote l’anima mia Eros” è il titolo, che richiama un verso di Saffo, dell’ultimo libro di Eugenio Scalfari, dedicato ad Italo Calvino e che parla di Eros: il dio dalle incerte origini, che racchiude in sé la parte mentale e insieme istintiva, la psiche e il bios dell’essere umano. Nella visione antropologica di Scalfari, arricchita dai continui rimandi al mito, il dio dell’amore è anche colui che infonde il desiderio di sopravvivenza, quell’istinto, che nei momenti peggiori ci ha salvati dalla catastrofe definitiva, l’amore per gli altri: una tensione che alberga in ciascuno di noi e che contende all’egoismo lo spazio psichico. In questa prospettiva si comprende l’attenzione dell’autore nei riguardi dei Vangeli e della predicazione di Gesù, come pure più trasparente e solida diventa, in alcune pagine, la presenza del Cardinal Martini. Non un puro confronto teologico, ma un’esperienza umanissima tra due figure che, pur partendo da versanti opposti, condividono nel dialogo la volontà di capirsi. Il libro, in fondo, è dedicato alle passioni, ai rimpianti, agli slanci di uno degli uomini che con più lucidità e sapienza ci hanno raccontato il nostro tempo. “Vivetela bene la vostra piccola vita perché è la sola e quindi immensa ricchezza di cui disponete. Non dilapidatela, non difendetela con avarizia, non gettatela via oltre l’ostacolo. Vivetela con intensa passione, con speranza e allegria”, ci dice l’Autore, che ha sempre cercato di farsi attraversare dalla luce della razionalità, senza tuttavia nascondersi che la conoscenza e il sapere hanno il loro fondo oscuro nella malinconia. Leggendo Scuote l’anima mia Eros (pp. 130, € 17), appena pubblicato da Einaudi, si ha la fondata impressione che Eugenio Scalfari abbia volutamente tracciato un percorso esitante, spiraliforme, refrattaria alla linearità di risposte conclusive troppo drastiche sulle grandi domande della vita. Per questo è la melanconia il sentimento centrale del saggio. Il ricordo di un bivio imboccato escludendo l’altra via alternativa, o le molteplici vie alternative, quelle lasciate alle spalle, sono la misura emotiva dello scritto che Scalfari fa partire, appunto, da una figura centrale della sua adolescenza, l’amico più assiduo della “stagione in cui si forma la mente”, dell’adolescenza in cui il viaggio della vita è appena cominciato: Italo Calvino. È nell’incontro con Calvino che si riflette la radice di un dualismo fatale, e centrale nel libro di Scalfari. Il dualismo di Calvino si riverberava piuttosto nello scontro tra il temperamento influenzato da Saturno, “melanconico, contemplativo, solitario” e quello influenzato da Mercurio, “portato agli scambi, ai commerci e alla destrezza”. Diceva Calvino di sé: “Sono un saturnino che sogna d’essere mercuriale”. E Scalfari, simmetricamente e di rimando: “Sono stato un mercuriale che sognava d’essere un saturnino”. Una vita intera spinta da due influenze contrapposte: quella del “mediatore di scambi, di commerci e di conflitti” nello stesso tempo scossa (“scuote l’anima mia Eros”) dal desiderio “di abbandonarmi alla melanconia e alla solitudine”. Presentando, il 13 maggio, al Salone del Libro a Torino-Lingotto il suo libro, Scalfari ha detto: “Se ora chiamassi Berlusconi e gli dicessi ‘Silvio, mi interessa quello che stai facendo’, non solo mi riceverebbe subito, ma cercherebbe di cooptarmi nei suoi progetti”. Ed aggiunto: “Il potere e’ la malinconia. La brama di potere e’ solitudine”, dimostrando come i temi del libro si calano della più immediata attualità. Boccaccio, nel “Filocolo”, descrive un protagonista che vive la sua giovane esperienza amorosa essendo dominato dalla melanconia amorosa e dal furore eroico. E’ lo stesso Filocolo che alla morte di Ascalion considera folle la sua esperienza: “E chi fu alla mia lunga follia continua guardia se non tu? E quale più dirittamente si può dire folle, o fa maggiori follie, che colui che oltre al ragionevole dovere soggiace ad amore sì come io feci?” Filocolo può ritornare al suo vero nome solo quando termina la sua lunga follia e si placa il suo eroico furore. I sintomi caratterizzanti la malattia dell’ amor eros mostrati da Florio sono descritti dai medici appartenenti alla tradizione d’ origine araba, tra cui ricordiamo i nomi Al-Gazzari, Alì Abbas, Avicenna, che nei loro trattati indicano come causa scatenante della malinconia amorosa la corruzione del giudizio razionale e l’ apatia, nel senso del giacere per molte ore, uno dei sintomi più significativi. Ben diverso l’approccio di Scalfari, che scuote con erotica passione la sua melanconia, indirizzandola sempre verso nuove prospettive. Il caso clinico del melanconico, secondo Freud, è proprio quello che mostra esemplarmente “l’al di là del principio del piacere”, ovvero la pulsione di morte allo stato puro, ma dovrebbe ricredersi il grande austriaco leggendo questo testo in cui, Scalfari, supera la concezione secondo cui il melanconico è impoverito, quasi svuotato, poiché s’ identifica con l’ oggetto d’ amore perduto e la perdita dell’ oggetto diventa la perdita dell’ io stesso. A noi pare, nel caso di Scalfari, si ripercorra il senso erotico della melanconia nella direzione data alla pittura da Guttuso, un’arte che, dal ’70 in poi, nell’aprirsi ad altri piani, ad altri aspetti, ad altre profondità del “reale”, ha il potere di mettere in discussione se stessa e al contempo di rinnovarsi, di attualizzarsi in una dimensione inedita dai risvolti, come vedremo, fantastici, mistici e persino enigmatici. L’Eros di Scalfari, è un luogo immaginario in cui l’apatia melanconica è vinta dal turbinio mercuriale della passione. Con una riflessione che abbraccia la musica e la letteratura, la religione e la storia, Scalfari esplora le declinazioni del desiderio d’amore e di potere, schiudendo le porte della sua vita emotiva e accompagnando il lettore in un viaggio alla scoperta degli umani sentimenti, di quella “curvatura erotica dell’essere” in cui, forse, si trova la nostra specificità di esseri umani: “noi desideriamo desiderare”. Dopo aver collaborato al “Mondo” di Pannunzio, Scalfari è stato, nel 1955, tra i fondatori de “L’Espresso” che ha diretto dal 1963 al 1968. Nel 1976 ha fondato il quotidiano “la Repubblica” che ha diretto fino al 1966 e di cui, oggi, è editorialista. Tra i suoi libri ricordiamo La sera andavamo in via Veneto. Storia di un gruppo dal “Mondo” alla “Repubblica” (1986), Incontro con io (1994), Alla ricerca della morale perduta (1995), Il labirinto (1998), La ruga sulla fronte (2001) Razza padrona, con Giuseppe Turani, (1974, 1998), L’uomo che non credeva in Dio (2008), Per l’alto mare aperto (2010).
Non c'è ancora nessun commento.