Le piazze della città di Peretti
L’Aquila – (di Carlo Di Stanislao) – Giornalista, poeta e scrittore, soprattutto noto come autore teatrale, Elio Peretti è anche grande poeta, poeta autentico per vena e scrittura, per fraseggio, suono e contenuto, pronto a cogliere, nel particolare, l’eterno ripertersi delle domande più profende dell’uomo. “Le piazze aquilane itinerario poetico sulle aperte scenografie della città” a cura dalla One Group Edizioni, ne sono testimonianza, come sono espressione evidente di un’aquilanità sempre presente ed ora più dolente, dopo il sisma del 2009. Pubblicato nel 1997, ristampato lo scorso anno, questa silloge è viaggio nella città di pietra, fra chiese, piazze, rosoni e bifore che parlano e ci parlano, col viatico descrittivo del poeta, a portarci verso un itinerario intimo, raccolto, personale ed assieme esplicitamente estroverso ed universale. Con questa sua opera, una vera e propria miniera di idee, simboli, concetti, visioni e nuove raffigurazioni della vita, attraverso la sua città, Elio Peretti ci incatena e ci incanta, come una omerica sirena, cui il cuore cede e si emoziona. Ecco allora che sulla scia di queste risonanze emotive diventa forse più facile accogliere le simbologie del mondo poetico di Peretti, individuando nella sua opera il vero simbolo della ricerca della saggezza, che riporta alla saggezza custodita all’interno e nel cuore dell’uomo e che alberga e proviene dall’istanza profonda e centrale del Sè personale e dal Se’ più allargato, collettivo, corale e cosmico, dove è inscritta la progettualità e la verità della vita. A leggere o rileggere questi versi si attivano quelle energie interiori che ci offrono una grande possibilità trasformativa e l’occasione per apportare un cambiamento reale nelle nostre vite, perché è proprio dall’avvio di dialogo tra il nostro Io e il nostro Sé, che possiamo trovare la forza e il coraggio necessari per affrontare le difficoltà, ogni volta che dovessero presentarsi, con la stessa fiducia di riuscita con cui Peretti ha affrontato e a superato prove terribili e terrificanti, grazie proprio all’immensa fiducia e al sostegno che nutriva nel proprio Sé, inscritto nelle pietre della sua città: monumento vivente e dolente di una umanità in cerca di se stessa. L’esperienza artistica dell’antologia, con immagini splendide de L’Aquila che fu, dei suoi scorci e colpi d’occhio e da una successiva rielaborazione di parti di esse, nella loro solo apparente eterogeneità, costituiscono in effetti altrettante tappe di un itinerario coerente di verifica e di precisazione, sul terreno dell’estetica, del nucleo originario di un pensiero tanto radicato alla terra quanto sospinto verso il cielo, lucido ed emozionato, capace di parlare al cuore ed al cervello. L’elemento più struggente e primo, è il viaggio in cerca di una propria identitaria verità, una ricerca che è propria della autentica poesia, che si rivela, in primo luogo, nel suo non conformarsi in ogni tempo a qualsiasi contenuto e poi e nel fatto che quando un tale contenuto assume forma linguistico-poetica , riceve per questo una specie di legittimazione. Già per Goethe la relazione dei due concetti “verità e poesia” non è certo semplice rapporto di contraddizione, ma di connessione reciproca. Egli dà questo titolo alla sua autobiografia, intendendo con esso, l’aspetto positivo che il ricordo poetico ha per la verità. Mi pare innegabile che il linguaggio poetico abbia una particolare relazione, ad esso totalmente peculiare, con la verità e in questa antologia la poesia si fa linguaggio veritiero in senso eminente: sandando la poesia in se stessa (steth in sich da) e nell’identico modo stando di fronte al poeta e a colui che ne fruisce. Il mondo cittadino (rimpianto o ritrovato), la prossimità stessa, la familiarità in cui ci tratteniamo nella parola letteraria e, nella sua più elevata perfezione, ottiene qui una dimora sia nel soffermarsi sui particolaria, sia quando gioca negli accenti della prossimità. La silloge, quindi, non è una teoria romantica, ma una descrizione di connessioni reali, per dire che la linguisticità dischiude l’accesso universale al mondo e che in questo accesso linguistico emergono forme straordinarie dell’esperienza umana: la parola poetica attesta la nostra esistenza, essendo esistenza (dasein) essa stessa. Per il poeta il dualismo fra vista ed udito, fra descrizione e suono, diventa inerente al tessuto ontologico sstesso del Reale, dove il Bene ed il Male sono drasticamente separati ed il cammino dello Spirito verso la salvezza è orientato unilateralmente. Nemmeno per un istante Peretti contempla la possibilità che nel Male sia contenuto un riflesso del suo opposto, che sia possibile una redenzione finale anche del negativo: per questo conservare il meglio dei ricordi, equivale a circondarsi di una profusa possibilità di vera realizzazione.
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