Elezioni: Grillo crescente, cav dimezzato, referendum oscurato


(di C.D.S.) – Bersani (e Repubblica), parlano di sconfitta del premier, con vittoria al primo turno a Torino e Bologna e vittorie parziali dei candidati di sinistra a Milano, Trieste e Napoli. Invece, quello che è successo ieri e l’altro ieri, dopo gli infiniti processi, gli scandali a corte, il declino di un’Italia che non riesce a decollare, dimostra solo che gli italiani non sono maturati e neanche troppo cambiati. Io mi sarei aspettato una caduta libera del governo e invece così non è stato. Certamente Pdl e Lega hanno ceduto il passo, ma non certo grazie alla politica dell’opposizione o con un voto maturo e ponderato. Va ricordato, poi, che a Milano, Pisapia non era il candidato del Pd e a Napoli lo è ancor meno De Magistris. Inoltre, a Catanzaro, come in altre città in cui governava il Pd, vince il candidato del Pdl e tutto fa ritenere che il voto degli elettori (quelli che hanno votato, dal momento che uno su due si ne è stato a casa) è stato solo un voto di protesta, spesso poco ragionato, se non del tutto istintivo. Non a caso Massimo Bugani, candidato a sindaco di Bologna per il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, dichiara: “il terzo polo siamo noi”, un polo populista e arrabbiato, sempre contro, ma con scarsissimo spessore veramente politico, che dal del delinquente a Belusconi e del busone a Vendola, cavalcando, in modo generico, il malcontento popolare e senza uno straccio di idea su energia, trasposti, acqua pubblica, ambiente, connettività, democrazia diretta, ecc. La vera sorpresa (che preoccupa) in questa prima fase delle amministrative, è proprio la crescita dei “grillini”, che non solo hanno ottenuto il 10% a Bologna, ma anche il 5% a Torino, quasi il quattro a Milano e l’1,2% a Napoli e che ora sono ago della bilancia in diverse situazioni, molto più dell’ammucchiata, già in pieno sfilacciamento, composta da Udc, Fli e Api. Così, come in Ungheria nella primavera 2010 e in Germania nel 2011, trionfa di fatto il populismo più generico e pericoloso: un partito forcaiolo ed in fondo reazionario, che non si propone strategie ma solo contestazioni e totali destabilizzazioni, senza alcuna idea di autentico governo. Come ci ricorda Pietro Grilli di Cortona nel suo recente “Come gli Stati diventano democratici” , la parola “democrazia” è una delle più antiche, utilizzate e abusate del lessico politico, tuttavia, se è vero che di democrazia si parla fin dal V secolo a. C., è anche vero che i significati che essa ha via via assunto e le realtà empiriche alle quali ha fatto, nel corso del tempo, riferimento, si sono profondamente modificate, mostrando come il concetto, adottato sia nel linguaggio scientifico che in quello corrente, designi realtà in continuo movimento ed evoluzione: di significati, di referenti empirici, di contenuto, di connotazione descrittiva o ideale. Il paradosso della democrazia, oggi, consiste nella combinazione e concomitanza del suo successo e della sua crisi, del fascino che esercita e delle critiche che attira: mentre la democrazia si sta diffondendo ovunque nel mondo, continua ad attrarre nuove e vecchie élites, viene ricercata ed imitata da tanti leader politici che cercano di mostrarsi democratici e di dare alle istituzioni almeno un’apparenza democratic;, nelle democrazie di lungo corso si moltiplicano i segnali di insoddisfazione verso i leader, le istituzioni e gli attori della politica, fenomeni di cui grillini e leghisti costituiscono paradigmatico esempio. Beppe Grillo, che tanto vorrebbe un mondo eco-sostenibile, un Parlamento di incensurati e pure lo scudetto per il Genoa, in realtà rende superflua qualsiasi domanda, vano qualsiasi interrogativo, inutile qualsiasi ragionamento. Egli, infatti, ha sempre ragione perchè ha già profetizzato tutto, dalle pagine del suo blog da almeno sette anni. Non c’è più nulla da dire su niente perchè nei suoi meet-up e nei suoi spettacoli a 89.83 euro, ci sono già tutte le risposte sulla politica, sull’ambiente, sulla Rete, sugli immigrati, su De Magistris e sul Pdl. Ma siccome io sono un fautore del “pensiero debole” e diffido degli “ipse dixit” di ha in tasca tutte le risposte, avverto un certo disagio nel vedere quanto cresce questo generico populismo nelle preferenze dei mie connazionali. Ed è per questo che credo sia necessario allargare e incoraggiare la partecipazione dei cittadini alla vita politica, come unico antidoto al rischio di deriva populista, sfida mai giocata fino in fondo in Italia, ma oggi, dopo questo ennesimo voto, più che mai urgente. La qualità dei politici cala ormai da decenni, come se il fenomeno fosse inarrestabile. Abbiamo a che fare con dirigenti sempre più ignoranti e incapaci di elevarsi sopra al populismo imperante. Non possiamo lasciare che questa deriva vergognosa ci travolga senza fare niente, e il minimo, che possiamo fare, è esprimere un voto, ma che sia meditato e politicamente maturo. Un voto che tenga conto, ad esempio, che l’estremismo populista del premier, che ha agitato sudamericane promesse di sanatoria dell’abusivismo edilizio, ha tristemente polarizzato il voto di centrosinistra su De Magistris: un personaggio che sta a Cosentino come uno sceriffo pistolero sta a un bandito da saloon. Occorre guardarsi attorno, con mente sgombra ed infinita pazienza e cercare i pochi che parlano (e soprattutto applicano), la restituzione del rispetto per le regole ed un senso minimo delle istituzioni e del bene comune. Dobbiamo opporci all’abitudine sudamericana ed ormai consolidata, che appellarsi al popolo per legittimare ogni azione in nome di un vasto consenso ottenuto, sia la chiave per poter governare senza controlli e soprattutto senza critiche, perché, quando non si accettano o meglio non si ammettono critiche, l’oligarchia è dietro l’angolo. Del resto, in democrazia, l’ampia legittimazione popolare, non significa che sia vietata ogni forma di critica, né che si debba rinunciare ad esprimere liberamente le proprie opinioni, senza timore di ritorsioni presenti o future. Le (false) risposte ai bisogni dei cittadini, che nell’immediato danno l’illusione di essere concrete, rischiano di essere inefficaci o perfino dannose, nel medio-lungo periodo (ci dovrebbe dire molto questi due anni di post-terremoto). Governare i problemi, è il compito che si sono assunti i politici, anche quando non è facile, soprattutto in società dove le contraddizioni superano le certezze. E allora ecco spuntare politici che vivono alla giornata, magari consumando perfino le risorse ambientali, senza guardare in prospettiva a quello che lasceremo ai figli e soprattutto ai nipoti. Senza ritornare sempre a Marcuse o a Fromm, richiamando il più recente Colin Crouch, possiamo dire (ed avvertire) che è un’efficace definizione della nostra nuova realtà politica postdemocrazia, quella che la definisce creatura dell’immagine del consenso popolare giocato sui sondaggi, o semplicemente evocato dal fantasma di un “popolo”, sempre richiamato ma mai davvero amministrato. Così facendo il populista identifica i propri progetti con la volontà del popolo e poi, se ci riesce (e sovente ci riesce) trasforma, in quel popolo che lui ha inventato, una buona porzione di cittadini, affascinati da un’immagine virtuale, in cui essi finiscono per identificarsi. Questo è riuscito a Berlusconi, Bossi, Antonio Di Pietro e Grillo, in tempi differenti, ma con analoghe modalità e contenuti. Il populismo è pericoloso perché, come già insegnava Tacito (Annali 1,29) Nihil in vugo modicum: nel popolo non c’è nulla di moderato, anzi, per dirla con Cicerone è immanius belva, l’animale più mostruoso. Diceva Silone che “nessun clamore di popolo può infrangere le nostre coscienze” e questo dovremmo sempre rammentare, nella vita comune e quando esercitiamo il diritto-dovere del voto, scegliendo chi è chiamato a governarci. Maturità ed accortezza potremo esercitarli nei ballottaggi per le amministrative e il 12 e 13 giugno, nel voto sui quattro referendum abrogativi su acqua, nucleare e legittimo impedimento. In verità, dopo il dietrofront del Governo sul nucleare, non è ancora chiaro se saranno presenti all’appello tutti e quattro i quesiti referendari, in quanto, sull’atomo, la decisione spetta alla Corte Suprema, che si pronuncierà entro fine maggio. Resta il fatto che, ancora adesso, la Rai non ha fatto partire la campagna di informazione, attirando le giuste reprimenda dell’Agicom, che ha chiesto che si superi al più presto l‘ostruzionismo della maggioranza e si approvi il regolamento sul referendum per consentire agli italiani di essere informati. Ma è evidente, per quanto detto, che il cittadino meno è informato, più è plasmabile. Il 7 maggio anche il Colle è intervenuto sulla questione, con Giorgio Napolitano che, ricevendo il presidente Paolo Garimberti, e il nuovo direttore generale, Lorenza Lei, ha affrontato la questione della “piena e tempestiva attuazione del regolamento” approvato in Vigilanza Rai e soprattutto “la necessaria informazione sulle modalità di svolgimento della consultazione referendaria”, è di primaria importanza. Un appello, quello di Napolitano, seguito a brevissima distanza dall’annuncio dell’azienda pubblica della messa in onda degli spot informativi sui quesiti in programma nel prossimo mese di giugno. Ma vedremo come gli spot saranno concepiti ed erogati e quanti cittadini saranno, sui temi referendari, adeguatamente informati. Mentre tutti (o quasi) i commentatori politici si chiedono se, dopo le amministrative, si voterà alle politiche nel 2013, nel 2012 o nell’autunno 2011, nessuno si sofferma ad analizzare le preoccupazioni che il risultato produce. Dicono i grandi politologi che se, come pare, la Moratti non batterà Pisapia al secondo turno, il tandem Berlusconi-Bossi forse si spaccherà come una mela. Con un ventaglio di soluzioni degne di un astrologo: elezioni sùbito, elezioni prefissate, governo istituzionale, governo tecnico, governissimo, Tremonti, Maroni, Monti eccetera. Ma nessuno ha approfondito ed analizzato la vera sorpresa: la crescita imprevista e molto preoccupante della deriva populista. Ogni politico ha un brand appiccicato sulla pelle. Bossi il federalismo, Napolitano l’europeismo, Ciampi il patriottismo, Casini il centrismo posdemocristiano, Prodi il solidarismo, Tremonti l’anti-mercatismo, Bersani il riformismo romagnolo, Berlusconi l’anti-fiscalismo. Proprio per questo è facile gioco convincere gli italiani scontenti a rivolgersi a nuove sigle, senza far porre la domanda di base, relativa o cosa di concreto queste nuove sigle sono ed offrano. Contrariamente al neoministro Saverio Romano, che mette il dito nella piaga del Fli e dice: “Ora gli elettori del Terzo polo, che è oggettivamente inconsistente, devono scegliere da che parte stare”, io preferisco dire che tutti gli italiani devono capirlo e farlo in maniera adulta e matura. Secondo i lettori del Fatto Quotidiano è Beppe Grillo l’uomo che può fermare Berlusconi, raccogliendo 36,3% degli oltre 54 mila voti al sondaggio lanciato il 9 settembre sul sito del giornale di Padellaro, con l’obiettivo di capire chi potrebbe sconfiggere il Premier alle prossime elezioni. L’andamento delle amministrative sembra dare ragione al giornale di Travaglio e Telese, ma la cosa poco ci conforta. Come ci conforta poco (o punto), la striscia di Stefano Disegni, che sul “il Misfatto” (inserto satirico domenicale de Il Fatto Quotidiano), attacca Berlusconi in modo anodino e noiosissimo e se la prende, in maniera becera e qualunquista, con tutti i miti della sinistra, da Moretti a Saviano, passando per Vendola e Landini, facendo intedere che il meglio è il “televenditore” Renzi ed il modello, quello eterno del “fare” (a parole) del Cavaliere. Guardando al mio paese natale, Roseto degli Abruzzi, non trovo differenze nei populismi dei due candidati che andranno al ballottaggio: Enio Pavone e Teresa Ginoble, che firmano programmi fotocopia, in cui l’unica variante non è neanche semantica, ma solo di successione delle promesse formulate. E sogno che i miei ex concittadini sappiano scegliere il meglio, dietro le parole.


18 Maggio 2011

Categoria : Politica
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