Lo specialista: “Non banalizzare il terremoto”
L’Aquila – (di Flavio Colacito – Psicopedagogista) – È giusto affrontare il momento difficile che stiamo vivendo incoraggiando le persone a reagire? Certamente sì. È corretto convincere la gente che si può tornare alla normalità, anzi che si deve farlo? Sicuramente no. Eppure sembra che molti siano orientati a seguire la strada del buonismo, delle rassicurazioni, facendo serpeggiare tra le persone sentimenti che, alla luce di quanto accaduto in seguito alla recente forte scossa di magnitudo 4.5 , finiscono per infrangersi sui duri scogli della realtà: dal terremoto non siamo fuori, perché certezze non ce ne sono e in questo campo si seguono modelli previsionali su base statistica. La sicurezza comincia dalla prevenzione e prevenire significa in questo caso mettere in sicurezza non solo quante più vite possibili, ma anche l’equilibrio psicologico delle popolazioni dando loro una rassicurazione basata sui fatti, sulla consapevolezza dei pericoli reali, sul concetto di “rischio” e sulle strategie per combatterlo, sull’accettazione di vivere una realtà precaria.
Appare discutibile la scelta adottata dal governo che impone l’obbligo di rientrare a casa se sussistono le condizioni di agibilità. Agibilità non significa sicurezza totale, meno che mai psicologica. Non serve mobilitare gli psicologi se poi si mettono le persone in condizione di subire traumi ancora più gravi di quelli derivanti dalla scossa del 6 aprile: lo testimonia la richiesta di tornare nei campi di chi, rassicurato da false illusioni, è tornato a vivere sulla propria pelle il terrore del sisma con gli attacchi di panico, magari incoraggiato dalla stessa idea che in troppi hanno e cercano di infondere agli altri: se la casa ha resistito prima…adesso che potrà mai accadere?, Il peggio è alle spalle…me l’ha detto uno che conosco. Tra allarmismi eccessivi e sottovalutazione del rischio reale si nuoce alla gente, si spiana la strada ai predicatori di sciagure, ai catastrofisti che nella sofferenza altrui vedono un piacere personale. Lo stesso Boschi ha sempre sostenuto che sul terremoto non si possono fare previsioni precise ma che lo sciame sismico sarebbe potuto durare diversi mesi, con scosse di magnitudo inferiore a quella del 6 aprile, tuttavia senza escludere la possibilità di un picco pari a quello disastroso, o comunque di altre scosse simili a quella del 22 giugno, riducendo al minimo la possibilità di terremoti con magnitudo maggiore di 5.8. In ragione di questo la collettività ha il sacrosanto diritto di poter tornare a frequentare le proprie abitazioni, naturalmente quelle ritenute sicure, tuttavia nei provvedimenti che prevedono l’obbligo del rientro per chi possiede abitazioni agibili, sarebbe stato giusto concedere la possibilità di poter dormire nelle tende, dando la facoltà di scelta a chi, per convinzioni personali e sotto la propria responsabilità, avrebbe potuto scegliere di risiedere a casa propria anche nelle ore notturne. Questa osservazione nasce da una considerazione di carattere psicologico e pratico: il terremoto durante le ore notturne coglie i soggetti impreparati, nei letti, amplifica il senso di paura e smarrimento, alimenta le crisi da attacco di panico, rende difficoltose le operazioni di fuga allungando i tempi di permanenza all’interno dell’edificio. Inoltre il rischio di subire un trauma, in particolare per i bambini, diventa notevolmente superiore nelle ore notturne, incrementando il rischio di incorrere in stati confusionali, soprattutto se a subirne le conseguenze sono gli anziani o i portatori di handicap. È paradossale ricorrere ai trattamenti psicologici se la stessa condizione di chi, in nome dell’agibilità, ma con forti scosse di assestamento in atto, è potenzialmente a rischio. Invocare il ritorno alla normalità è auspicabile a patto che ci sia una considerazione dei tempi e dei modi per farlo. Attualmente non siamo ancora arrivati a tre mesi dalla notte del sisma ed appare prematuro parlare di un ritorno stabile nelle abitazioni. Le persone vanno educate all’accettazione realistica dei problemi e al rapporto, sempre complesso, con le difficoltà del momento, sapendo che l’uscita dal tunnel c’è. Basta aspettare con fiduciosa pazienza mettendo a frutto le strategie adattive e comportamentali di ognuno di noi.
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