Giustizia senza risposte? Un’ingiustizia
(di G.Col.) – Per il giornalista che segue la cronaca giudiziaria, il taccuino ripete all’ossessione una parola: rinvio. La storia dei processi, incluso il “pacchetto” dei procedimenti sui crolli sismici aquilani, è una storia di rinvii. E quasi sempre causati da ritardi di notifiche, mancate notifiche, notifiche non valide o nulle e così via. Spesso tutto ciò va a favore di qualcuno. Mai del cittadino che attende la sentenza, o del giudice che onestamente ha fatto il suo lavoro istruttorio. Una giustizia senza risposte è semplicemente un’ingiustizia. Semplce, lineare, ma l’Italia è sempre stata così e continua ad esserlo. Oggi 27 c’è stato un rinvio per un processo su 15 morti, e fra qualche giorno ce ne sarà un altro, su tre morti. Altri ce ne sono stati e altri ancora ce ne saranno. Praticamente, non c’è processo senza qualche rinvio, che sovente significa mesi o stagioni intere persi tra carte, attese, rabbia, frustrazione di chi vede lo Stato annaspare impotente nei propri meandri di assurdità e di maleodoranti inefficienze. In questo senso la giustizia avrebbe dovuto essere riformata. Impedire queste oltraggiose lungaggini sarebbe il vero significato di un “processo breve”, altro che piaceri al premier o sospetti accorciamenti dei tempi di prescrizione. Naturalmente, l’Italia dei trucidi pagliacci che guidano la politica ha fatto ben altro. E continuiamo ad annotare, da cronisti, un rinvio dopo l’altro. Ce n’è uno, di rinvio, che è senza eccezioni: quello della dignità nazionale. Anzi, più che un rinvio, è una rinuncia.
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