Il partigiano a stelle e strisce


(di Generoso D’Agnese) – Si sono dimenticati di loro. Giovani, coraggiosi e coerenti,in tanti morirono sul fronte immersi nelle divise dell’esercito italiano o sulle navi dentro i panni della Marina. E tanti riuscirono a ritornare a casa, per poi decidere di tornare nelle terre, al di là dell’Oceano, dalle quali erano salpate per portare il loro contributo di italiani. In tanti combatterono e morirono con la divisa a stelle e strisce, accompagnati da un nome italoamericano che ne racchiudeva l’essenza e ne esaltava la tenacia, onorati da un registro militare e da una compagnia che ne avrebbe preservato le gesta.
Ma loro no, loro furono dimenticati. Semplicemente inghiottiti dal tempo e dall’euforia della rinascita, scomode pietre rimaste indietro nella valanga liberatoria della guerra d’Italia. Erano i ragazzi italoamericani uccisi nell’oscura battaglia della resistenza, passati per le armi dai plotoni nazifascisti con l’infamia di essere spie o semplicemente come nemici da eliminare. E per loro ci fu davvero poca gloria, in quel 25 aprile del 1945: quando il paese scoppiò di felicità per le armi che tacevano – finalmente- la loro storia fu frettolosamente rimossa e seppellita nella grande fossa della dimenticanza. Senza troppi romanticismi.
Ma non era stato un semplice bagliore, quello che aveva spinto tanti italiani nati nelle Americhe ad attraversare l’Atlantico per unirsi alle truppe dell’esercito di Mussolini. E altrettanto profonda sarebbe stata anche la motivazione che avrebbe spinto tanti italoamericani a scegliere la guerra partigiana, per riscattare sul campo i valori di democrazia iscritti nel loro DNA e uniti temporaneamente all’orgoglio di servire sua Maestà Vittorio Emanuele.
Profondo fu l’amore che aveva spinto ad esempio Renato Berardinucci sulla terra dei suoi avi. Nato il 1° giugno 1921 a Filadelfia, Renato aveva infatti deciso di tornare in Italia per compiere gli studi superiori e si era stabilito a Pescara, allora tranquilla cittadina cresciuta all’ombra dell’orgoglio per il suo poeta Gabriele D’Annunzio. Renato non divenne però mai un cittadino italiano; arrivato in Italia nel 1939, il giovane visse in prima persona tutti i drammi della popolazione civile martoriata dalle battaglie e dai bombardamenti e si ritrovò, insieme all’adorata madre, sulla linea del fuoco, durante la difficilissima avanzata alleata. In una regione devastata letteralmente da mesi e mesi di combattimenti all’ultimo uomo, l’italoamericano dovette affrontare il destino di gran parte della popolazione, sopravvissuta a più di un bombardamento aereo e alle sistematiche spoliazioni da parte delle truppe tedesche in ritirata. Erano quelli momenti drammatici anche per le scelte di campo. L’esercito italiano era dissolto e nei mesi successivi gli italiani si dilaniarono nella scelta tra la Resistenza e l’adesione alla neonata Repubblica di Salò. Molti coraggiosamente ripresero le armi, radunandosi in battaglioni partigiani. Avevano deciso di difendere la loro terra. Senza troppi perché e con la ferrea volontà di chi crede soltanto nelle proprie radici. Anche l’Abruzzo partecipò a questi avvenimenti. Nei mesi che accompagnarono il sanguinosissimo teatro bellico di Ortona (ancora oggi il cimitero canadese ne ricorda gli strazianti avvenimenti) molti giovani presero la via delle montagne per offrire coraggio e utili informazioni alle avanguardie alleate. Renato Berardinucci era sfollato con sua madre in un piccolo paese dell’entroterra e al pari di altri giovani, aveva deciso di dare il suo contributo. Era cresciuto nella civilissima Filadelfia e degli umori della Pennsylvania si era nutrita la sua adolescenza. Non poteva rimanere indifferente al collasso di una nazione e alla barbarie di una guerra che seminava morti innocenti tra la popolazione rastrellata dai nazifascisti come scudo umano o per rappresaglia contro le azioni partigiane. Quella guerra per il riscatto dell’Italia doveva essere anche sua. Iniziò così la sua personale battaglia contro l’occupazione nemica. Appassionato propugnatore degli ideali democratici, Renato Berardinucci attirò intorno a sé altri ragazzi coraggiosi e gli occhi indiscreti di chi si guadagnava da vivere con la delazione. Con i suoi amici iniziò la vita raminga dei partigiani e le azioni belliche ai danni delle truppe tedesche e delle squadre fasciste. Nonostante i moniti di altri partigiani e le suppliche di altri italoamericani (tra essi anche Giovanni Michelucci – anche lui nato a Filadelfia – , appena rientrato da dodici lunghi anni di servizio nella Regia Marina), Renato decise di rispondere con le armi alle angherie delle forze d’occupazione e partecipò a più di un’azione, tra le colline e le montagne dell’Appennino. Tradito dalle spie filofasciste, dovette però abbandonare le sue coperture ufficiali e lasciare i paesetti della costa per tentare di unirsi alle truppe alleate in avanzata. Quando ormai la liberazione era imminente egli fu così costretto a partire con il suo gruppo “Giacomo Leopardi” in direzione dell’Aquila, dove il fronte sembrava ormai prossimo alla caduta. E fu soprattutto costretto a portare con sé una mamma apprensiva, incapace di staccarsi da quel figlio adorato che aveva voluto studente in Italia. Nel gruppo partigiano, rallentato dalla fatica di una donna anziana e non in ottime condizioni fisiche, Renato decise di restare in retroguardia e mandò velocemente avanti la gran parte dei suoi compagni. Si attardò insieme ad altri tre partigiani per dare conforto alla madre e nei pressi di San Pio delle Camere fu catturato dai tedeschi, che avevano premura di ritirarsi e di raggiungere una linea più tranquilla a settentrione della città dell’Aquila. La madre di Renato ebbe la possibilità di essere libera ma non volle abbandonare il suo sfortunato figlio, tanto da provocare la reazione stizzita dei carcerieri. Picchiata selvaggiamente con il calcio del fucile, la madre coraggio venne lasciata nella polvere, sanguinante. Raccolta e medicata, sopravvisse e rientrò a Filadelfia per espiare con il dolore (entrando e uscendo dalle cliniche) il resto della propria esistenza, convinta di essere l’unica colpevole del destino del figlio.
Renato in effetti andò presto incontro alla morte. Per un plotone in ritirata, i prigionieri sono solo un peso inutile e tali vennero considerati i quattro partigiani. Un tribunale improvvisato li condannò così alla fucilazione. Berardinucci inoltre fu condannato doppiamente: per la sua nazionalità “americana” e per i suoi vestiti civili. Considerato anche una spia alleata, gli venne imposto la fucilazione alle spalle, e il luogo dell’esecuzione fu scelto nel cimitero di un piccolo paese dell’Appennino aquilano: Arischia. I condannati furono obbligati a scavarsi la fossa e finita la macabra operazione si prepararono a pagare con la vita la loro scelta per la causa. Ma non tutti si arresero con rassegnazione alla morte. Renato Berardinucci chiamò a sé l’ufficiale incaricato al comando dell’esecuzione e afferratolo con tutte le sue forze lo sopraffece, permettendo ai compagni di tentare la fuga. Per due di loro, il gesto dell’italoamericano significò la vita. Berardinucci infatti lottò da solo contro l’intero plotone finendo infine massacrato sotto i colpi sferzati con i calci dei fucili. Un altro compagno – Vermondo Di Federico – venne colpito dalle pallottole, rimanendo sul terreno, nel piccolo cimitero di paese. Accadde tra il 10 e l’11 giugno del 1944.
Il gesto eroico di Berardinucci e Vermondo Di Federico non fu dimenticato. Non subito. La sua storia fu raccontata dai compagni superstiti e gli valse la medaglia d’oro al valor militare: un riconoscimento postumo per il sacrificio e l’eroismo mostrato nella lotta contro l’occupazione tedesca. Ma sarebbe stata una soddisfazione aleatoria! A distanza di più di sessanta anni, a parte il nome iscritto nella toponomastica della città (e il ricordo del fratello Louis, che per anni gli sopravvisse a Brooklyn, conservando la medaglia al valore militare), tutti sembrano aver dimenticato il sacrificio di Berardinucci e di tanti altri giovani, immolati nel nome della libertà. Anche nei libri di storia.


26 Aprile 2011

Categoria : Storia & Cultura
del.icio.us    Facebook    Google Bookmark    Linkedin    Segnalo    Sphinn    Technorati    Wikio    Twitter    MySpace    Live    Stampa Articolo    Invia Articolo   




Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento

Utente

Articoli Correlati

    Nessun articolo correlato.