Nutrizionisti, zitti: è tempo di abbuffate pasquali


L’Aquila - (Foto: squisitezze e il fegato dolce aquilano, sotto vuoto) – I nutrizionisti tornano a predicare: non abbuffatevi, non esagerate a Pasqua con grassi e salumi, meglio il persce che l’agnello. I naturisti ribadiscono che la strage degli agnelli somiglia più ad un’ecatombe pagana che ad un rito cristiano. Lo stipendio ancora non arriva (è sempre così a Pasqua, non c’è tredicesima mensilità, almeno per i più. Ma la solfa è sempre la stessa, perchè i consumatori se ne infischiano degli appelli e fanno come sempre hanno fatto, crisi permettendo: mangiano agnello, prosciutto, salami, salsicce, coratella, fegati di vari tipi (privilegiato quello ormai raro fatto con il miele, a L’Aquila), “coglioni di mulo” di Campotosto, culatello, ventricina di Campli o di Vasto, tutto salato e pepato a dovere. Oltre, naturalmente, corposi primi piatti di lasagne e tagliatelle, e i dolci. La Pasqua porta sulle tavole degli italiani i salumi della tradizione. A seconda delle regioni, variano le tipologie: si va dall’immancabile salame corallina, consumato principalmente a Roma, alla coppa-capocollo delle regioni del centro e sud Italia, al salame filzetta in Brianza cui sono da aggiungere tutte le altre “prelibatezze” regionali e territoriali.
Una consuetudine radicata nella cultura alimentare dello Stivale che arriva da lontano: gia’ dal Medioevo, mentre l’addio prequaresimale alla carne (il Carnevale) era celebrato con salsicce o fette di salame cotte nel vino bianco, il giorno di Pasqua si tornava a consumare, dopo quaranta giorni, quei salumi che, in primavera, raggiungevano il perfetto grado di stagionatura. Con la tradizionale macellazione invernale del maiale (che avviene dal giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, a quello di Sant’Antonio, il 14 gennaio), infatti, si ottenevano salumi che avevano periodi di stagionatura diversi, da pochi mesi dei salami cacciatori ai 12/18 mesi dei prosciutti crudi.
Il periodo Pasquale, tra la fine di marzo e la fine di aprile, era il periodo perfetto per consumare proprio il salame e la coppa o capocollo, questi ultimi due salumi molto simili (derivano dallo stesso taglio del maiale) il cui nome varia nelle diverse regioni (coppa al nord, capocollo al centro-sud). Questi prodotti della salumeria italiana, infatti, necessitano di una stagionatura di 3/4 mesi. Ancora oggi la tradizione si perpetua e i numeri danno la conferma: rispetto all’anno scorso si prevede che i consumi dei salumi della tradizione (salame, coppa e capocollo) aumenteranno dell’1,5%, con un quantitativo di 13.350 tonnellate per un valore alla produzione di oltre 13 milioni di euro, che al consumo si attesteranno attorno ai 26 milioni di euro.


21 Aprile 2011

Categoria : Cronaca
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