“Ricostruzione? Evapora l’occasione per diventare una città-territorio”


L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – L’ex sindaco Biagio Tempesta non solo c’è, sempre elegante, nemmeno un capello (sale e pepe) fuori posto, disponibile a gettarsi nella mischia, se glielo chiedono, ma è anche convinto – a dire il vero allineato con una minoranza in possesso di cervello – che alla ricostruzione della città e del comprensorio non bastino i soldi. Occorre anche usare la fabbrica delle idee, e cogliere l’occasione. Accendere il desk. Due chiacchiere con lui.

Quale occasione, avvocato Tempesta?
—Quella di produrre un piano di riedificazione non del tutto com’era e dov’era, ma di una grande città al centro di un comprensorio da Montereale a Capestrano: circa 120.000 abitanti, una comunità coesa, servizi, innovazioni, dislocazioni. Un’area metropolitana. Una nuova L’Aquila. Vitale e spaziosa. Dal terremoto si deve trarre un beneficio. Ma chi ha idee?

Appunto, chi?
—Nessuno. Bisognava incaricare un grande architetto, degli urbanisti, dei nomi di alto profilo, penso ad esempio a Renzo Piano o a illustri nomi di tutto il mondo. Riedificare, ma migliorando, valorizzando, crescendo. Invece…

Sarebbe disponibile a tornare in politica?
—Sono tre anni che sono fuori, di presunte candidature e incarichi si dicono solo falsità, finora. Ma Tempesta c’è: se me lo chiedono, se esiste una vasta e vera volontà, eccomi. Esiste davvero?

Come si comporta la politica?
—Pensa in piccolo, ognuno crede ancora nella caccia al consenso, al voto, alla propria conferma, alla fontanella e al lampione. Ci si perde in piccolezze. Molti non sono adeguati ai compiti che svolgono. Non sono all’altezza. Vedono piccolo, non spaziano.

Come va con il lavoro, parliamo del mondo dei legali, degli avvocati?
—Sceso fortemente per tutti. Gli avvocati sono tanti, le cause poche. Sa cosa è accaduto dopo il terremoto? Manca la voglia di contenzioso. La gente è scoraggiata, forse crede che non valga la pena di darsi da fare, e quindi anche di far valere i propri diritti ordinari. La rinuncia alla forma di vita che è la competizione, il confronto con gli altri quando si crede nel proprio diritto. Davvero preoccupante. E’ questa la vera depressione, la capitolazione collettiva. E qui pensano ai giochetti, alle liti, alle piccolezze.

Come vede la città e il suo modo di vivere?
—Non si può faticare tutto il giorno, anche solo per muoversi da un posto all’altro, e poi la sera alle 19 chiudersi a casa, perché non c’è più dove andare a vivere da cittadini. Non c’è più un luogo chiamato L’Aquila. Siamo tutti un’altra cosa, siamo stravolti. Ecco perché è vitale sapere rinascere ma diventare migliori di prima. Cogliere l’occasione.


14 Aprile 2011

Categoria : Le Interviste
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