L’opinione – StranItalia


(di Carlo Di Stanislao) – Strano Paese il nostro, dove un onorevole cambia casacca in nome di una tecnica terapeutica ed usa il nobile e millenario Taichi, come simbolo di un partito di “trasformisti”, copiando Gentile per il manifesto programmatico e, scoperto, tenendo il punto e sostenendo una supposta comunità di vedute con il filosofo che ha teorizzato l’ideologia fascista. Un Paese in cui un senatore, che proviene da una terra funestata da un terremoto recente e da una disoccupazione ormai tragica, con conti in disordine e rientri sanguinosi, firma, con altri cinque, un ddl costituzionale per abolire la norma transitoria della Carta che vieta la ricostituzione del Partito nazionale fascista. Un Paese che crede di risolvere i suoi problemi con i proclami, spostando i migranti da un luogo all’altro, l’immondizia da una discarica a un’altra, le responsabilità su tutti, tranne che su chi è responsabile davvero. Un Paese in cui 314 deputati dicono di credere nella buona fede del primo ministro che riteneva una squillo minorenne, di sua diretta conoscenza, nipote di un (ex) capo di stato e in cui il partito di maggioranza crea uno spazio televisivo sulla principale rete pubblica per difendere il proprio operato, parlando di necessario riequilibrio con un analogo spazio dato a Enzo Biagi ma, addirittura, chiuso nove anni prima. Per arrestare l’incredibile e strana barbarie di questa Italia ci vorrebbero serietà e schiettezza, un popolo capace di protestare per la disoccupazione giovanile, i tagli alla cultura e alla scuola, gli orientamenti in sanità e non impegnato, come accaduto di recente, ha investire i propri risparmi per gigantografie che ritraggono le proprie figlie, con vacazioni da velina, per garantirne uno spazio in tv. Questo strano Paese è stato in grado, su Rai 1, di chiudere con due puntate d’anticipo una trasmissione sui suoi 150 anni, con tanto di crisi isterica di un conduttore-giornalista e di sputi da parte del partner. In questa Italia, se un giovane non può permettersi una serata in discoteca, un abito di un certo tipo, un’auto di un certo modello, eccetera, scatta l’autoesclusione, l’autoemarginazione. Per non parlare dei consumi sessuali, della droga, che necessitano di cifre esorbitanti dalla sfera del quotidiano e del sano e giusto. Così si spiega il ricorso al debito, perfino al prestito a usura, diffuso tra lavoratori semplici e disoccupati. Uno strano Paese con un presente vacuo ed un futuro incerto, come incerti sono i suoi giovani. Un Paese in cui l’assenza di speranza è vissuta senza cognizione di causa, perché, anche se è drammatico ammetterlo, per i giovani di oggi crescere non significa più appigliarsi alla vita e costruirsi un cammino dentro di essa. Un’Italia con una classe dirigente che non vuole ammettere la propria ignoranza di fronte ai nuovi processi produttivi e in cui, prima o poi, si arriverà a configgere con la generazione successiva, con una inevitabile esplosione di rabbia. Le battaglia dei precari, come quelle degli studenti e dei ricercatori, sono la punta di un iceberg. Tra breve rischiamo di avere i giovani avvocati e commercialisti in piazza, i medici, i veterinari, gli ingegneri. Tutti colti, formati, bravi, ma sottopagati, vessati, mobbizzati, soprattutto se donne. Così, il sistema si inceppa e l’odio prevale sulla ragione, e la società si frammenta. Prevale il legittimo sentimento dell’invidia. E il governo, di questo strano Pese, è affidato a politici che fanno orecchie da mercante ed ignorano la perdita progressiva di competitività e le migliaia di giovani scesi in piazza per l’ennesima richiesta di un possibile futuro. L’Istat ha di recente sottolineato che nel 2010 si è ristretto ancora il potere d’acquisto delle famiglie italiane, cioè il reddito disponibile in termini reali è calato dello 0,6% su base annua. Questa contrazione segue quella già molto consistente registrata nel 2009, pari a -3,1%. La borsa della spesa diventi inevitabilmente sempre meno pesante. I pensionati, specie quelli al minimo, così come le famiglie a rischio di povertà relativa, hanno un’inflazione maggiore rispetto alla media delle famiglie italiane. Per loro il calo del potere d’acquisto sarebbe, quindi, almeno doppio rispetto alla media nazionale. Le famiglie non riescono ad arrivare a fine mese e a far fronte alle spese ordinarie, i giovani, soprattutto al sud, vivono in una situazione di grande precarietà e non possono programmare il loro futuro. Molte persone hanno perso il posto di lavoro, ma il governo rimane impassibile. “Il nostro tempo è adesso. Non posiamo più aspettare”, hanno detto da 46 piazze i giovani di Questo Paese, ma, in questa stana Nazione, acconto a loro, anche quelli che, dalla sinistra, in parte hanno contribuito a creare questa situazione di incertezza e di costante precariato. Per invertire l’inevitabile precipizio di questo strano Paese, tutti sappiamo che dovremmo introdurre veri meccanismi di selezione meritocratica e mandare casa i veri bamboccioni: quelli attaccati alle poltrone senza avere i meriti per conservarle. Ma sappiamo anche che, se lo facessimo, non saremmo l’Italia, ma qualuque altro, civile Paese.


10 Aprile 2011

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