Morire in libertà


(di Carlo Di Stanislao) – In un mondo in cui avere un libero pensiero è la cosa più grave, l’assassinio di Juliano Mer-Kamis è un emblema inquetante. Ex leader delle Brigate dei martiri di al-Aqsaf, fondatore a Jenin, città martire della Seconda Intifada del Freedom Theater, l’attore e regista cinquantaquatrenne, è stato ucciso da un commando palestinese il 4 aprile scorso. Figlio di una israeliana e di un palestinese cristiano, Saliba Khamis, era noto per aver interpretato diversi film israeliani e stranieri, ma anche come attivista politico a favore della causa palestinese. Viveva fra Haifa e Jenin ed il suo “Teatro della Libertà” era rincipalmenterivlto ai bambini del locale campo profughi. Era stato minacciato più volte per la sua attività e, nel 2009, erano circolati nel campo profughi volantini che lo accusavano di essere una quinta colonna israeliana e promettevano di ridurlo al silenzio con le armi. Nel 2003 aveva prodotto e diretto il suo primo documentario, “I bambini di Arna”, sul lavoro di sua madre volto a creare laboratori di teatro per bambini palestinesi nel campo profughi, durante gli anni ’80. Quando e’ stato assassinato era in auto con la tata che si prende cura del figlio, che è rimasta ferita. Il governatore di Jenin ha immediatamente condannato l’accaduto e provveduto a far arrivare il corpo di Juliano alle autorità israeliane, presso il checkpoint più vicino. Per l’assassinio di Mer-Khamis è stato arrestato Muajahed Qaniri, ex esponente di Fatah, che secondo l’Anp sarebbe passato tra le fila di Hamas, ma che nega ogni addebito. “Qualsiasi cosa io faccia, è contro la separazione”, diceva Juliano, ma è difficile credere che il suo esempio sia stato compreso. In giovinezza, era solito servirsi del cognome ebreo di sua madre, ma ha anche servito nelle forze di difesa di Israele, nella brigata di paracadutisti Hativat HaTzanhanim. In un’intervista concessa nel 2009 alla radio dell’esercito israeliano, disse delle sue origini “Sono al cento per cento Palestinese e al cento per cento Ebreo.” In un’intervista di due anni fa al quotidiano online “Ynet”, Mer-Khamis aveva ammesso di avere paura di venire ucciso da estremisti. “Ma cosa posso farci? Non sono un uomo che fugge”. Aveva ricordato il suo passato nei paracadutisti dell’esercito israeliano e faceva affidamento su questo – sulla preparazione fisica – per sopportare la paura e la morte. Quando il giornalista gli aveva chiesto il perché dei volantini minacciosi, l’attore non aveva esitato a dare una risposta chiara: “Ci sono palestinesi che stanno impazzendo perché c’è un mezzo israeliano al vertice di uno dei più importanti progetti culturali della Cisgiordania. È ovvio che si tratta di razzismo ipocrita”. E aveva poi concluso con una frase che, riletta oggi, ha un che di sinistro: “Sarebbe veramente spiacevole morire per colpa di un proiettile palestinese, dopo tutto questo lavoro nel campo profughi”. La su uccisione accorcia la lista dei personagi che rendono la società palestinese meno conflittuale e quella israeliana, meno reazionaria. Con 5 colpi di pistola esplosi a distanza ravvicinata gli orrendi assassini hanno voluto chiudere una esperienza in cui imparare che isole di libertà sono sempre possibili. Juliano Mer-Khamis è stato seppellito poco distante la tomba di sua madre, nel Kibbutz Ramon Menashe a nord di Israele. Diciotto ragazzi del teatro di Jenin hanno ottenuto dalle autorità israeliane un permesso per assistere alla sua sepoltura; 18 giovani che, certamente, portano nel cuore la titanica traccia del messaggio di Juliano.


10 Aprile 2011

Categoria : Cultura
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