Il balletto delle cifre e dei rimpalli
L’Aquila – (di Carlo Di Stanislao) – Secondo i “due Gianni” (Letta e Chiodi), i soldi ci sono e se è stato ed è difficile spenderli, è solo per la lentezza burocratica delle amministrazioni locali. Il capo della struttura tecnica di missione Gaetano Fontana, rincara la dose sulle responsabilità locali e afferma che la situazione dei piani, ad oggi, è desolante. Infatti: “I Comuni che devono consegnare questi documenti sono 57, ma attualmente non ce n’è neppure uno che lo abbia fatto”. Come scrive sul Sole 24 Ore Giuseppe Latour esiste per certo una viscosità comunicativa fra governo ed istituzioni locali, con il sindaco de L’Aquila, Massimo Cialente, che si era dimesso per protesta ed ha poi ritirato le sue dimissioni e, da sabato, a sentire Letta, con lui, “è stata ricostituita una perfetta unità di intenti”. “Ad, oggi tra emergenza e ricostruzione – ha spiegato il governatore e commissario delegato per la ricostruzione, Gianni Chiodi – abbiamo speso circa 1,4 miliardi. Poco più di 1,7 miliardi sono invece soldi liquidi che non sono stati ancora usati. “È denaro che – racconta il commissario – potremmo impiegare anche subito”. Una buona fetta di questi soldi, circa 483 milioni, è di pertinenza della contabilità speciale per la ricostruzione. Un balletto di cifre ed un rimpallo di responsabilità mentre, di fatto, la vita di ogni giorno resta faticosa e, guardando anche solo alle pratiche di richiesta di contributi per la ricostruzione avviate nel solo capoluogo, resta punto dolente, il futuro degli stabili classificati come “E”: appena 699 su 16mila; un andamento sul quale ha inciso molto, oltre al problema dei piani di ricostruzione, anche la polemica con costruttori e progettisti. “Ci sono stati sottoposti 17 punti critici – ha detto Fontana – da chiarire per avviare questa fase della ricostruzione. Dopo qualche discussione, abbiamo superato le difficoltà e adesso possiamo procedere”. La prossima scadenza, a questo punto, è il 30 giugno, termine massimo per presentare le domande per gli edifici “E” fuori dai centri storici; ma non è detto, come è già accaduto in più occasioni, che anche stavolta la scadenza possa slittare. Domani sarà a L’Aquila il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, forse l’unica figura ancora credibile in una ridda confusa di proposte non realizzate e di cui nessuno si sente in alcun modo responsabile. I numeri sulla ricostruzione delle zone abruzzesi colpite dal sisma di due anni fa, dichiarate a Roma da Chiodi e dal sottosegretario Gianni Letta, ci dicono che dei 3,131 miliardi di euro trovati in cassa al subentro alla Protezione civile, il Commissario, sempre nell’ultimo anno, ne ha erogati 1,402, riferiti ai 14,767 mld stanziati dal governo col ‘decreto Abruzzo’ 30/2009. Letta e Chiodi affermano che ”L’Aquila è tutt’altro che una città morta; la ricostruzione è partita; non c’è stato il calo demografico temuto; i cantieri aperti sono 11 mila e finalmente anche per la ricostruzione ‘pesante’ non esistono più ostacoli”. Ma intanto (e questi sono dati inconfutabili), ci sono quasi 38mila persone ancora assistite in soluzioni abitative ‘provvisorie’, con show filo-governativi che tacciono gli aquilani di essere buguiardi e profittatori. Qualche tempo fa, Legambiente, in un dossier molto dettagliato, dopo aver denunciato che si è perso troppo tempo nel rimuovere le macerie, avvertiva che un obiettivo fondamentale in questa operazione è il riciclo attraverso nuove teconologie, fra l’altro ancora sconosciute alla mafia. C’è una legge dello stato, mai veramente applicata, la 203/03m che prevede l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di utilizzare negli appalti almeno il 30% di materiale edile da riciclo, di cui fanno parte le macerie. E’ fondamentale dare attuazione a quella legge, ma, ancora adesso, la cosa non è stata in alcun modo attivata. Ed anche tenendo fuori dal conto il centro storico, è palese che la ricostruzione si sta svolgendo nel modo più caotico e selvaggio, senza un vero disegno unitario, senza un piano urbanistico di valore e respiro, con una crescita che definire selvaggia è ancora lontana dal descriverne la triste, avvilente realtà. Non meno triste è veder ciondolare ancora, dopo 24 mesi, i nostri giovani, con alta incidenza di sindrome post-traumatica da stress (un ragazzo su quindici, secondo un’indagine recente), nei centri commerciali ed apprendere che la città perde abitanti, perché molti non ce la fanno a resistere, non trovano occupazione ed essendo costretti ad abbandonare. Nonostante le parole del governo gli animi sono preoccupati e scuri, i cuori inquieti ed i volti tesi. Di questo passo ci vorranno molti più dei dieci anni preventivati per vedere una luce: un tempo infinito per chi è già allo stremo. Cresce in molti la convinzione del “gioco” delle parole e delle promesse, quelle formulate dagli stessi volti e dalle medesime persone che non hanno risolto il problema dei rifiuti a Napoli, né sta risolvendo davvero (nonostante i 140 milioni di Euro versati da L’Europa nel biennio 2010-2011), quello dei migranti e dei centri di smistamento e accoglienza. In Italia, mormorano molti, siamo solo bravi a mettere pezze a colori, immaginarci facili soluzioni davanti alle telecamere, per poi sparire di fronte ai problemi, pronti a dire che la responsabilità è sempre degli altri. Dopo l’incontro tra Silvio Berlusconi e il premier tunisino Beji Kaid Essebs, i che non ha portato a nessuna intesa, ben altri sono i problemi del governo che pensare alla ricostruzione de L’Aquila. Senza contare del maremoto interno alla compagine di maggioranza, con la Lega insoddisfatta di come si sta gestendo la questione immigrati e Berlusconi alle prese con la riforma della giustizia che è ferma e deve invece accelerare. I problemi della fragilità territoriale della Calabria, della Sardegna e del Veneto, quello della immondizia di Napoli, la questione del risarcimento delle vittime della tragedia ferroviaria di Viareggio e, naturalmente, degli aiuti concreti ed inseriti in un concreto disegno urbano a L’Aquila, passano decisamente in secondo (e terzo) piano. Anche se i rappresentanti del governo continuano a dire che tutto è in marcia ed in progressivo miglioramento, emblematico è il commento di Save the Children, come chiosa ad un documento promulgato ieri, realizzato con il coordinamento scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, il sostegno della Caritas Italiana e la collaborazione dei pediatri abruzzesi, in cui si dice, testualmente che: “Continuano a mancare interventi specifici e strutturati nel tempo che aiutino i bambini e le loro famiglie a reagire e ritornare a una situazione di piena e positiva normalità”. Per non paralare, poi, delle “lentezze registrate sul versante della ricostruzione materiale della città e dei luoghi colpiti”. Raffaela Milano, coordinatrice del progetto Bussola Famiglia, sostegno psicosociale ai bambini e alle loro famiglie, avviato a febbraio, ha descritto con chiarezza e senza retorica lo stato attuale: “La sofferenza emotiva di tanti bambini e adolescenti, l’assenza di adeguati spazi di socializzazione, l’emorragia di iscrizioni a scuola, sono tutti segnali che non possono essere sottovalutati e indicano una difficoltà dei minori così come del resto della comunità a uscire da una dimensione di emergenza, insicurezza, paura”. Come ha scritto Bauman: “La paura più temibile è la paura diffusa, sparsa, indistinta, libera, disancorata, fluttuante, priva di un indirizzo, o di una causa, chiaro; la paura che ci perseguita senza una ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente. Paura è il nome che diamo alla nostra incertezza, alla nostra insicurezza, alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c’è da fare.” Ed è questo il clima che si respira nella nostra città e nel cratere, a 24 mesi dal sisma, fra rimpalli di responsabilità e cifre che sembrano nate dal gioco “chi la spara più grossa”. Questo governo, al solito, si ripara dietro l’infingimento della incapacità locale, per mascherare e confondere l’opinione pubblica circa le sue numerose mancanze o carenze. Questa condizione spaventosa continuerà per noi fintanto che il divario tra la scala (globale) dei problemi e la portata (locale) dell’azione effettiva continuerà a esistere. Provvedimenti a livello locale possono mitigare solo temporaneamente l’impatto di problemi prodotti a livello globale. Si guardi, ad esempio, al’urgente problema immigrazione, col gioco degli spostamenti attuati dal governo, mentre la Lega alimenta le nostre paure sulla riduzione di sicurezza e posti di lavoro, come se si costringessero gli stranieri ad andare via, tutto il resto tornerebbe di nuovo sicuro e confortevole, come era prima del loro arrivo. Il filosofo francese Raymond Aron spiegava le origini dell’antisemitismo moderno con la coincidenza tra l’uscita degli ebrei dal ghetto e l’avvento della modernizzazione, con le apprensioni e tensioni che le allora sconosciute pressioni modernizzanti – che distruggevano i modi di vita familiari e trasformavano le forme in cui ci si guadagnava da vivere – non potevano non produrre. Così le dichiarazioni di Letta, Chiodi, Fontana e della squadra che fa loro riferimento, servono solo a far credere che, con una amministrazione locale diversa, ora tutto sarebbe a posto o, comunque, avviato a soluzione. Ora, a differenza delle paure di vecchio tipo, quelle contemporanee tendono a essere imprecise, mobili, elusive, modificabili, difficili da identificare e collocare con esattezza. Abbiamo paura senza sapere da dove viene la nostra ansia e quali siano esattamente i pericoli che la provocano. Possiamo affermare che i nostri timori vagano in cerca delle loro cause che noi vorremmo disperatamente trovare per poter essere in grado di fare qualcosa a riguardo o per chiedere che si faccia qualcosa. E allora eccola la soluzione strategica, il piano atarassico e tranquillizzante: dare un nome ed un volto alla paura di chi si sente incerto e non ha più certezza di un luogo e di una casa. L’incapacità di chi localmente lo amministra, che si rivela lento, farraginoso, ondivago ed incapace, senza raccontare che il tutto è legato a regole mai chiare e a soldi molto “citati” ma anche molto “virtuali”. Eccoci allora a commemorare il nostro lutto e la nostra tragedia, in una “Dogville” fatta di macerie tanto trasparenti da apparire invisibili al mondo, necessitati a testimoniare, con forza e senza reticenze, il bisogno di una morale che non rinvii la punizione e che, soprattutto, non risolva tutto con un perdono generalizzato. Poiché le colpe vanno punite e le responsabilità, di ogni genere, accertate. E poiché, di solito, chi fa politica imparare a superare il senso di colpa, assumendo grande narcisismo e smisurata autostima, stiamo attenti soprattutto a ricordare a loro le loro mancanze, le false promesse e gli impegni non rispettati. Quanto a noi, depressi e rattristati, ricordiamo che, il senso del dovere, il senso di responsabilità, la disciplina, l’autocoscienza, sono gli essenziali precursori – derivanti da un’educazione ispirata essenzialmente a tali valori – per lo sviluppo di una personalità altamente autocritica e come tale infelice perchè incapace di darsi tregua e trovare autentiche soluzioni. Una volta imboccato questo cammino, la strada diventa via via sempre più penalizzante, perchè interrompere il meccanismo autopunitivo rappresenterebbe un eccesso di benevolenza verso di sè, con il pericolo (soggettivamente percepito) della disapprovazione altrui. Come ci dicono filosofi e mistici, il ritorno decisivo a se stessi è nella vita dell’uomo l’inizio del cammino, il sempre nuovo inizio del cammino umano. Ma, in questi giorni occorre pensare che, nessun cammino può farci uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo cacciati, che esiste anche un ritorno perverso a se stessi che, invece di provocare l’uomo al ravvedimento e metterlo sul cammino, gli prospetta insperabile il ritorno e così lo inchioda in una realtà in cui ravvedersi appare assolutamente impossibile e in cui l’uomo riesce a continuare a vivere solo in virtù dell’orgoglio demoniaco, dell’orgoglio della perversione. Pensiamo, allora, che abbiamo il diritto di chiedere che il nostro cammino ricominci, ma anche il dovere di immaginare in quale direzione.
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