Oltre le apparenze, il valore del 6 aprile


L’Aquila – (del Prof. Flavio Colacito – Psicopedagogista – foto) – Sono trascorsi due anni dal sisma dei 6 aprile, ma ancora oggi la realtà di quella notte è viva in ognuno di noi così come ciascuno elabora a suo modo il dolore e la rabbia.
Ma se oggi chiedessimo a qualche aquilano come si sente, cosa prova nel vedere la sua città ridotta ad una massa informe con al centro il nulla, probabilmente risponderebbe facendo intendere all’interlocutore di avvertire un profondo senso di disillusione e amarezza.
Molto è stato detto e scritto su questa tragedia, tanto che il nome dell’Aquila è risuonato nella mente di parecchie persone che non sapevano neanche dove fosse ubicata fino a quel 6 aprile 2009, una data diventata disgraziatamente una pagina della nostra storia contemporanea.
La città nel tempo è diventata il trampolino di lancio di vaste azioni comunicative e multimediali in modo non sempre corretto e talvolta persino strumentale, teatrino e passerella della politica, fucina di idee imprenditoriali legate agli appetiti della ricostruzione, terreno per la malavita organizzata indirizzata agli appalti succulenti che solo le peggiori tragedie possono creare, naturale teatrino per aspri confronti su come e dove riedificare, abbattere, finanziare.
In questi due anni si è parlato e discusso di tutto e di più, dando la sensazione che in fondo si potesse uscire rapidamente da baratro di quella maledetta notte.
Ma si è forse dissolta quella notte? È andata via del tutto quella polvere? È arrivata veramente l’alba del giorno dopo? Siamo proprio sicuri di vivere come se il passato fosse alla nostre spalle? Sembra che una domanda conclusiva a queste domande non ci sia, che a ben vedere si vive in una dimensione sospesa, dove i ricordi di quella vicenda pesano più delle macerie che invadono ancora le strade del centro storico della sempre amata L’Aquila a testimonianza di quello che è accaduto.
I crolli con la loro possente presenza appaiono immobili e sconcertanti guardiani della città, di quella che qualcuno dipinge alla stregua di un’isola felice dove tutti ridono, lavorano, curano lussureggiati giardini, passeggiano tra un negozio e l’altro del centro, dove insomma la normalità è la vera sovrana dopo la tempesta, segno inequivocabile che la “cura” ha prodotto i suoi effetti benefici.
Le pietre a terra, i muri crollati, le erbacce che aggrovigliano gli antichi monumenti di un tempo fastoso che fu, rendono muto lo spettatore , soprattutto il visitatore forestiero che guarda con i suoi occhi ciò che certa televisione non mostra e non ha mai mostrato, forse per paura di far nascere una forma di coscienza nell’utente medio sulla cruda realtà, tanto che alla fine chi viene a L’Aquila per vedere il miracolo della rinascita si accorge che ci vorrebbe la grazia divina per rimettere a posto ciò che la furia della natura unita alla negligenza umana ha prodotto.
E così, dopo due anni, ecco che per incontrasi si va al centro commerciale, tanto che ogni sera è uguale all’altra, come alla notte segue il giorno e poi, diciamolo, si finisce anche col pensare che questa è la normalità, illudendosi che non potrebbe essere diversamente.
Si vive in macchina nel caos di una piccola città improvvisamente esplosa con una grande periferia frutto del progetto case e map, per cui quella che è stata la risposta all’emergenza è oggi la quotidianità e la vita scorre lungo strade inadeguate e pericolose come le maglie delle lungaggini tecniche e burocratiche che rischiano di ingabbiare a lungo la vera rinascita legata a doppio filo con la ricostruzione pesante nel rispetto dell’ambiente e delle esigenze connesse alla popolazione.
Domani si celebrerà il triste anniversario di chi non c’è più, di chi ha trovato la morte a causa dell’imperizia altrui, di chi pur vivo trascorre la propria esistenza aggrappato alla speranza che tutto torni al suo posto, che vivere abbia ancora un senso in un tessuto sociale fortemente provato da stress di natura psicologica, della città ferita che non riesce a cancellare il segno di quelle orrende mutilazioni arrecate al suo patrimonio artistico e culturale.
Forse la gente non ha più voglia di ascoltare, stanca com’è di dover sopportare l’idea di inseguire qualcosa che non c’è nel mare grande della confusione, la vera padrona dello scenario legato alla ricostruzione a cui tutti i nostri politici devono guardare per evitare il vero nemico: il tempo perso.
Il valore del 6 aprile 2011 risiede nell’unità d’intenti per disegnare un futuro certo per chi ci sarà nel rispetto di chi non c’è più.


06 Aprile 2011

Categoria : Cultura
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