6 Aprile 2011, lettera di riflessione
L’Aquila – “LA VITA NON DURA SEMPRE, NON POSSIAMO SPRECARLA” – Da Fabrizia Aquilio riceviamo: “Caro dottor Colacito, ho letto la Sua riflessione su quello che oggi è quello che resta della nostra Città . Quello che resta di noi. Condivido tutto, anche la sua riflessione su questa terra amara. Che rifiuta innovazioni e svolte e si fa governare da una cattiva politica, litigiosa e carica di fiele. E’ vero che la nostra vita non potrà essere mai più la stessa, comunque, qualunque sia il nostro impegno per riannodare la nostra esistenza.
Eppure quanto vorrei scuoterla, la nostra gente, per urlare quello che dovrebbe essere evidente per tutti. Ci è stata data l’opportunità di esserci ancora (e dopo quello che ci è successo forse è dipeso solo dal fatto che il sisma sia accaduto di notte o che sia durato solo 30 secondi). Non possiamo sprecarla questa seconda chance in tutte le quotidiane polemiche sterili e strumentali solo agli interessi di chi le propone. Abbiamo l’opportunità di essere persone nuove, che hanno scoperto come i luoghi comuni della sicurezza, della casa, delle comodità consolidate possono volatilizzarsi in qualche secondo.
Possiamo mettere in pratica quello che in fondo già sapevamo prima, quando tutto sembrava scorrere normalmente, che quello che conta davvero è altro.
E’ la persona che siamo riusciti ad essere nel nostro profondo, i rapporti autentici con chi ci vuole veramente bene in modo disinteressato, abbiamo conosciuto la solidarietà autentica, siamo riusciti a guardarci negli occhi, noi sopravvissuti, e a consolarci a vicenda, abbiamo dovuto trovare la forza di sostenere chi ha subito lutti atroci, che sono anche i nostri lutti e il nostro dolore quotidiano.
Come possiamo perderci ora in questo starnazzare: non è stato fatto niente – è stato fatto tutto. Ognuno di noi ha un tetto: è vero, anche se non può bastare. Molti (ovviamente chi non ha perduto una casa e magari ha visto L’Aquila solo in TV) avrebbero preferito le distese di container per alloggiare i 35.000 senza tetto. Tanto per loro cosa sarebbe cambiato: ogni sera costoro tornano alle loro sicurezze.
C’è tantissimo da fare e molto da iniziare: ma dobbiamo pretendere che il tempo della ricostruzione sia quello giusto, che ci ridarà case sicure veramente, senza la fretta di chi vorrebbe rattoppare o l’avidità di chi già sta preparando cemento fasullo.
Dobbiamo essere vigili, ma pretendere l’audacia di osare il nuovo, riconoscere chi, con onestà , è al lavoro con convinzione per ridare un futuro alla nostra terra, fare il tifo per quanti stanno dedicando il loro tempo, la loro vita a questo, saper additare chi sta operando solo con ingordigia, facendo del terremoto la sua fortuna, ma in nostro danno, domandarci quali talenti ciascuno di noi può mettere a disposizione della Città per dare noi a lei una nuova vita che non sia più così amara.
La nostra forza non è infinita. Per questo non possiamo permetterci il lusso di sprecarla”.
(Ndr) – Tentiamo di essere obiettivi, nessuno può negare quello che è stato fatto, sia dalle istituzioni che soprattutto da migliaia di generosi i8n divisa e in borghese. Non diamo colpe (ci mancherebbe altro!), da cronisti tuttavia osserviamo gli avvenimenti, la dispersione, la sfiducia, lo smarrimento, ormai diffusi anche tra i più coraggiosi. Sono feniomeni allarmanti. Come nel 1703, alla fine la città risorgerà (facciamo a meno della stucchevole frase: tornerà a volare…), forse il vero problema è sapere quanti ci saranno ancora a vederla risorta. Difficile sorridere, sapendo che questo è certo. Grazie per l’intelligente contributo della sua lettera, da donna e aquilana che non si piange addosso.
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