Alla ricostruzione ci crediamo davvero?
(di Gianfranco Colacito) – (Nella foto il picchio muratore) – La riflessione, anzi l’interrogativo, ce lo stimola una bambina di 4-5 anni, aquilana residente ad Avezzano, che in tv dice di stare benissimo dove si trova, e di non sapere neppure cosa sono le 99 Cannelle. Strappata dalla sua città due anni fa, cioè bimbetta, oggi è entrata in un’altra vita. L’Aquila nella sua mente è svanita. In due anni cominciano a sbiadire in tutti gli aquilani, a dire la verità , i ricordi dei luoghi, delle cose, dei volti, delle abitudini. Due anni sono un’eternità quando si vivono da sfollati o da profughi, simili a pianticelle strappate dal vaso con tutte le radici. Viene da chiedersi: alla ricostruzione ci crediamo davvero? A parte l’assurdo della situazione (due anni per non produrre nulla, un giorno di riunione con gli ingegneri per sbloccare tutto, tra volti soddisfatti e bronci scomparsi: possibile?) la domanda è meno sprovveduta di quanto sembri. Ricostruire significherà non solo rimettere su muri e tetti, ma persone di ogni età , vite scompaginate, continguità strappate, radici – appunto – estirpate in pochi minuti alle 3 e 32 del 6 aprile 2009. Non è facile dire, oggi, se sarà possibile. Ecco perchè è difficile credere, ormai, anche nelle cose che sembrano garantite, certe. Perchè di certo, forse, per molti, non c’è più nulla. O ci sbagliamo, e non sarà affatto così. O almeno non lo sarà per tutti.
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