10 anni + 2
L’incubo non ha fine. Abbiamo perso il ricordo del rassicurante annuncio dei dieci anni necessari per la ricostruzione dell’Aquila e ci accingiamo a sorpassare il secondo anniversario del terremoto in attesa del miracolo. Gli azzeccagarbugli ancora non ci comunicano la normativa di riferimento per la ricostruzione del centro storico e utilizzano le ordinanze incrociate per non farci capire niente, il latino qualcuno potrebbe capirlo. I politici locali non esigono la normativa per non compromettere i rapporti con Roma e le future candidature. Le macerie sono quelle di prima ed i palazzi da abbattere sono ancora li. Infine, il primo cittadino ha perso ogni contatto utile con la realtà che dovrebbe rappresentare e tutelare. Per trascorrere il tempo e non impostare dei discorsi sulla ricostruzione si parla di politica nazionale ed internazionale al pari di una normale città borghese del centro nord Italia. Tutto questo non è l’incipit di un romanzo ma è la mia città a due anni dal terremoto che ha segnato il punto del prima e del dopo. La città dei ricordi, delle gioie e dei dolori che vorrebbe tornare ad essere città per affrontare da città vera le sfide di un mondo sempre più globalizzato e culturalmente in discussione. I cittadini, reduci da una guerra con la natura persa per colpa di un sistema corrotto endogeno, sono ancora frastornati. L’adrenalina è stata altissima, l’occasione per molti il dramma per pochi. Ora che quasi tutto è finito e chi ha potuto prendere ha già preso, non si riconosce la traccia della direzione utile ad impostare un nuovo futuro. Come uno stormo di uccelli in cielo seguiamo nervosi lo scatto di vecchie figure rassicuranti appartenenti ad un passato e ad un’ideologia che non c’è più. Ma se con distacco ci guardassimo dall’alto ci accorgeremmo che il tragitto globale del nostro stormo è un cerchio. La direzione non c’è. Tutti insieme giriamo e rigiriamo su noi stessi senza sorpassare l’ostacolo e senza dare un senso a tutto questo sforzo.
L’Aquila ha bisogno di un piano strategico con un’accentuata visione del futuro. Prima ancora del piano di ricostruzione richiesto dall’attuale normativa, la politica locale deve definire la ragion d’essere della città del futuro sulla base della quale si caleranno tutte le scelte conseguenti in termini di ricostruzione e di sviluppo economico.
In due anni si poteva pensare e condividere il nuovo luogo fisico e sociale. Non lo si è fatto perché non lo si è voluto fare speranzosi di sopravvivere alla nottata e sguazzare nelle vecchie logiche del prima.
La società civile deve reagire e deve far scoccare la scintilla del cambiamento senza paura. Ma deve farlo ora. Domani avremo al massimo un clone rattoppato di una città che fu bellissima fisicamente ma che è implosa al primo fruscio della natura per motivazioni e personaggi che hanno voluto tutto ciò pur di galleggiare nell’assistenzialismo. La ricostruzione parte dal progetto di città del futuro bellissima e sicura fisicamente e degna di essere vissuta.
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