Cialente, il sindaco stanco ed esasperato

(di Gianfranco Colacito) – Si dimette? Pare di sì, anche se la politica è anche l’arte del sorprendere, e l’arte dalle mille risorse e trovate. Il gesto del primo cittadino aquilano è comunque vadano a finire le cose quello di un uomo stanco ed esasperato, che i veleni e le doppiezze micidiali della politica hanno messo alle corde. Eppure, Cialente è un uomo di esperienza. Sa in quale fossa dei serpenti si cala chi va a governare, e ha imparato quanto è drammatico affrontare incendi e terremoti. Ma, ad un certo punto, oggi, non ne ha potuto più ed ha sbottato: “Basta, me ne vado, chiederò voto anticipato, so che commissariare una città per un anno è ina iattura”. Tutto ha potuto e saputo sopportare il sindaco, meno le continue, squallide mancanze del numero legale in aula, dovute anche ai suoi “alleati”. A fare una figura agghiacciante non è il sindaco, ma la politica cittadina, che da molto tempo dava segni di degrado profondo, di inquinamento e di inettitudine. Ora si torna alle urne, se Cialente non ci ripensa, e il potere di decidere il futuro torna al primo e ultimo detentore, il popolo aquilano. Una decisione che significa, senza mezzi termini, essere capaci di ripristinare la città o di tenerla come ostensorio di rovine a profusione. Rovine che non sono purtroppo solo quelle degli edifici, ma anche del valore morale di una comunità. Mai, nei secoli recenti, L’Aquila ha avuto momenti così neri, accompagnati dall’infierire della malasorte. Ammesso che esista. Nessuno sorrida, nessuno gioisca delle dimissioni del sindaco. Sono un segnale davvero pessimo. Se si fosse dimesso per altri motivi, per uno scandalo, per un’inchiesta, per un’offensiva politica a viso aperto, sarebbe stato infinitamente meno grave. Se qualcuno ricorda il poeta inglese Donner, rilegga i versi che dicono “quando suona la campagna, non chiederti per chi. Essa infatti suona anche per te”. Ci sembrano calzanti.

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