Ricostruzione, “disordiniamo” un po’
(di Giampaolo Ceci) – Spesso mi sono chiesto quali saranno le valutazioni che gli Abruzzesi del cratere daranno tra una trentina di anni dei politici e dei tecnici che stanno riorganizzando la ricostruzione dal sisma.
Dapprima ho pensato che, pur nella tragicità dell’evento, da un punto di vista urbanistico il sisma forniva alle città terremotate delle occasioni incredibili per restaurare in forma omogenea edifici, strade e quartieri.
La ricostruzione post sisma rappresentava una buona occasione per la rivalorizzare vecchi borghi o interi quartieri cittadini degradati, tipicizzandoli ad un preciso contesto storico o almeno per elevarne l’estetica architettonica e funzionale.
Paradossalmente invece sembrerebbe che nell’urbanistica cittadina rimarrà come unico segno positivo quello omogeneo dei villaggi CASE che, in effetti, potrebbero restare gli unici interventi che, nel bene o nel male, manterranno la dignità di interventi pensati, coerenti con la loro funzione.
Mi sono permesso di chiedere, io che sono un sig. nessuno, che si varasse in fretta e furia un piano del colore per obbligare i progettisti a ridipingere le case riparate secondo cromatismi omogenei o almeno istituire una commissione che approvasse le scelte cromatiche dei progettisti. Nulla! Evidentemente nessuno legge questo blog, oppure per le forze di governo locale il problema dell’immagine cittadina non è importante. Ne prendo atto disciplinatamente.
Quale il segno che resterà della città tra trenta anni dopo la “ricostruzione”?
I segnali non sono buoni: non solo non ci sarà un contesto più omogeneo e ordinato, ma sta avvenendo un altro fenomeno preoccupante: si crea disordine anche dove prima non c’era.
Mi riferisco a quei quartieri della periferia aquilana che presentano una qualche omogeneità e qualità architettonica. Alcune zone periferiche contengono quartieri omogenei, nati da un unico progetto. Gli edifici presentano le medesime finiture a mattoncini, stessi infissi stessi colori e tapparelle, colori coordinati. Sono Interventi urbanistici, forse criticabili, ma si tratta pur sempre di piccole porzioni di città che hanno una loro dignità anche architettonica e rappresentano il segno dell’espansione della città degli anni 70 e 80.
Perché dico che si sta “disordinando” tutto? Perché mentre prima gli interventi in questi quartieri erano stata pensati da un unico progettista, ora invece gli interventi di ripristino sono il frutto dell’ingegno di molti.
Là dove c’erano palazzi con finiture omogenee, infissi e tapparelle uguali, ora verranno realizzati interventi disomogenei con finiture diverse: i mattoncini in alcuni casi resteranno, in altri verranno sostituiti con rivestimenti a cappotto, gli infissi saranno diversi con le loro tapparelle, non oso immaginare i colori finali di quei quartieri.
Il segno degli interventi della ricostruzione sostituiranno per sempre il segno della crescita della città di quegli anni.
Quale il segno percepito tra venti anni quindi? Disordine e improvvisazione, mancanza di direttive; in altre parole: mancanza di cultura urbanistica e insensibilità.
Speriamo che questo blog conservi questi scritti per molti anni, almeno qualche paziente futuro studente, nelle ricerche della sua tesi, potrebbe ritrovare questo sfogo e dire ad un suo collega: “leggi qui! nel 2011, durante la ricostruzione dal sisma, uno conosciuto ingegnere aveva avvertito del pericolo”.
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