Una festa che rimarca la differenza


(di Carlo Di Stanislao) – Credo che per molti (donne e uomini) risulterò incomprensibile, ma spero di non esserlo per le molte amiche con cui ho condiviso discussioni, esperienze e crescita. La festa dell’8 marzo, sbandierata ovunque in pompa magna, una volta tanto importante per la conquista dei diritti civili delle donne, è ormai equiparabile alla retorica e melensa festa della mamma, con tanto di fiori e cioccolatini, o, peggio ancora, col significato di serate per orde di donne in libera uscita, sullo stile degli uomini, tanto per far vedere che la trasgressione non si coniuga più solo al maschile. In molte cose le donne sono ancora in condizioni svantaggiate ed in uno stato di acuta vulnerabilità nei confronti degli uomini (in primis stupri, violenze e stalking, ma anche impossibilità di accesso alle stanze del potere, lavoro inadeguato alle competenze, limitata carriera professionale, ecc.), ma è miope e perfino autistico, per loro, concentrarsi solo su se stesse, senza vedere che intorno vi sono ormai molti pregiudizi e atteggiamenti “sessisti” anche verso gli uomini e non per questo meno odiosi. Come ha scritto Giuliana Proietti, basti pensare al discorso delle separazioni (sono quasi sempre gli uomini che devono allontanarsi dalla casa familiare e l’assegnazione dei figli nella maggior parte dei casi va alla madre, anche quando gli uomini si mostrano disponibili, capaci e perfettamente in grado di accudire i propri figli), oppure il caso dei giornalisti della TV, che sono ormai in via d’estinzione, perché considerati poco sexy, oppure degli uomini che vorrebbero lavorare con i bambini (vengono presi automaticamente per gay o pedofili), ecc. Ed allora occorrerebbe usare questa data per discutere di un’altra questione e senza distinzioni di generi, senza trovare un’altra mediatica e vuota occasione per rimarcare differenze. La questione è quella del corpo, del suo uso, dell’impiego, del non rispetto e della mercificazione. C’è un equivoco sulla questione corpo, nel senso che la questione femminile si gioca molto sul corpo ma non tutta sul corpo. Anche le proposte medianiche che non vertono direttamente sul corpo, tendono a relegare la donna all’interno di un ambito ben preciso. Mi piace fare un esempio al di sopra di ogni sospetto: nella fortunatissima trasmissione di Fazio e Saviano “Vieni via con me” abbiamo dovuto aspettare 3 puntate prima di vedere una donna esprimersi e quando è stata chiamata a esprimersi gli è stato chiesto di esprimersi sulle donne. Quello è un pensiero inconsapevolmente maschilista. Che la donna abbia qualcosa da dire solo su sé stessa, che sia una sorta di creatura autoreferenziale per cui la donna parla di donne e di tutto il resto parla l’uomo, è un pensiero veramente virale, perché colpisce anche persone che non sono assolutamente consapevoli di stare esercitando una discriminazione. Quindi la discriminazione non riguarda soltanto il corpo. Sicuramente riguarda il corpo e quella del corpo è una battaglia da combattere con tutti i mezzi, ma c’è dietro l’idea di un’inferiorità o marginalità, o comunque insufficienza femminile a sostenere anche le parti intellettuali che la società mette loro a disposizione. E, per passare agli uomini, è ormai evidente, nel modello-simbolo televisivo, che vale più la presenza, la corporeità che la sostanza e si diviene opinionisti non se si ha un’opinione da esprimere, ma solo polmoni per gridarla e pettorali ed addominali solidi per sostenerla. Per farla breve (e finita), non ho mai sentito particolarmente trasporto per la festa dell’8 marzo, forse perché l’ho sempre associata a pizzate di donne senza mariti che magari chiedono una serata di libera uscita rispetto a una vita che si sta in casa a fare le casalinghe. Mi è sempre sembrata una sorta di triste, amaro, melanconico contentino. Credo che bisognerebbe dargli un significato molto più alto ed ampio, sia sul piano politico che culturale. Per esempio quando penso all’8 marzo e a quante donne hanno potuto fare una carriera nella vita e hanno potuto realizzare obiettivi superiori rispetto a quelli che potevano aspettarsi le loro madri, penso anche che queste carriere le stiano costruendo grazie al fatto che affidano i figli e la cura della casa a donne straniere, che hanno lasciato a loro volta le loro famiglie per venire a accudire le nostre. Ed anche di questo bisognerebbe discutere ed argomentare. Auguro infine alle donne che conosco e rispetto (a partire da mia moglie e dalle mie più care amiche), di essere ancora capaci di essere “terra” generatrice o oscura, in grado di capire tutti i problemi e non trovare false soluzioni sul modello aggressivo e razionale maschile che ha snaturato l’animo intero della’umanità tutta. Immagina che grazie ad un femminile non più oscurato, non “revancista” né vendicativo, si possano costruire nuovi 8 marzo con donne e uomini “nuovi” ed assieme, capici di concepire “nuove vie da scoprire e condividere, capaci di vivere il proprio impegno civile e l’eventuale impegno politico senza nostalgie, ma come reale servizio e non come forma di “opportunità” personale. Uomini e donne che a se stessi come scopo, sostituiscono la Comunità, che alla parola “favore” sappiano aggiungere solo un piccolo “per”, quando essi chiedono qualcosa a qualcuno e non quando invece “concedono” a qualcuno qualcosa. Uomini e donne dell’Essere e non dell’Avere, capaci di aiutarsi con reciproco rispetto nella condizione della realizzazione dei bisogni più profondi, per raggiungere quel presupposto di libertà e autonomia, che finalizza gli sforzi alla crescita e all’arricchimento della propria interiorità. Avere o essere? ecco il dubbio dell’uomo moderno; non più “essere o non essere”, non più, dunque, cercare una dimensione interiore bensì identificarsi completamente con la materialità. Povero Amleto….forse tutto sarebbe stato più semplice se avesse ascoltato Ofelia. E, mentre prima trovavamo Cicerone che condannava coloro che guardavano soltanto alle divitiae, oggi troviamo professori che completamente inseriti nel Sistema marcusiano invitano i loro alunnia assorti dalla Filosofia a studiare altre discipline che possano portare ricchezza. Non importa se poi (perchè nonostante tutto prima o poi l’uomo verrà a trovarsi di fronte allo specchio, non potrà sempre evitarlo) si sarà insoddisfatti della propria esistenza perché priva di quello che più, a noi fragili uomini, ci fa sentire se non felici (perché finché si è non si è felici) almeno vivi. Quando stai bene economicamente poco importano i disturbi psichici, poco importa degli altri che muoiono per i nostri guadagni, poco importa di tutto e,infine, poco importa anche di noi stessi. Il perché, allora, di voler avere sempre di più, tipico della società odierna pare ovvio: se essere=avere, più si ha più si é e, se più si é lo si é più degli altri e da quando il mondo è stato invaso dagli uomini che avevano cancellato ogni traccia in loro di femminile sacro, c’è sempre stata questa voglia di prevaricare. Weber e la scuola di Francoforte avevano completamente ragione: la riscoperta del femminile in ciascuno è l’unica risposta possibile. Ma un femminile vero, autentico e non massificato, né mascolizzato, quanto che si aggira fra mimose e spettacoli osé in questi inutili 8 marzo.


04 Marzo 2011

Categoria : Cultura
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