Nessun posto dove fuggire se la terra trema: ancora come due anni fa
L’Aquila – Dove potrebbero dirigersi gli aquilani se dovessero fuggire dalle case, o se semplicemente volessero sentirsi più sicuri, in caso di terremoto? La domanda si è imposta, ed è stata posta da centinaia di persone, quando a mezzanotte circa – ieri sera – c’è stato un terremoto 2,6 Richter, quindi sensibile, con epicentro nella zona tra Roio e Lucoli, vale a dire lo stesso del 6 aprile 2009. Con boato: i fenomeni generati da quel sottosuolo sono, di solito, accompagnati da boato. “Una cosa che fa paura” dice semplicemente e in modo asciutto chi ha vissuto l’esperienza di ieri sera, e quella di qualche sera fa intorno alle 18, del tutto analoga.
Il discorso va fatto, e tenteremo di farlo, con pacatezza, senza allarmismo o rancore verso le istituzioni (che comunque debbono svegliarsi e rendere conto delle loro carenze, comprensibili ma non perpetuabili), con spirito costruttivo. Ma senza dormirci sopra. Perché va detto, prima di tutto, che il fenomeno sismico aquilano non è esaurito. Gli sciami si susseguono, c’è chi tenta di insabbiarli, celarli, sottostimarli, e sbaglia. Anche parte dei mass media, spesso imprecisi e arruffoni. I fatti parlano invece un linguaggio molto chiaro. Uno sciame sismico può durare anni, forse fu così anche nel 1703, e può anche precedere fenomeni di una certa importanza: accade di rado, ma non è escludibile. In Cile fortissimi recenti terremoti si sono susseguiti e ripetuti anche dopo mesi.
Dicevamo niente allarmismi: del resto, chi può farne, se ogni previsione è impossibile? Si può, tuttavia, essere cauti e preventivi: qui sta il punto, anche nell’inchiesta sulla Commissione grandi rischi. Terremoti in atto, comunque, e paura che torna tra la gente. In caso di necessità, dove potrebbe dirigersi e cosa potrebbe fare la gente?
In nessun posto: solite code, solite, fughe confuse e disperate, solite auto nei piazzali al freddo, e al buio, consueta totale confusione. L’Aquila non ha spazi di raccolta organizzati e noti alla gente, quartiere per quartiere. La Protezione civile urbana non esisteva prima dell’aprile 2009, e non esiste oggi, sul piano preventivo e organizzativo. Non sentirete mai un comunicato, una nota alla popolazione dopo l’intensificarsi di uno sciame, una parola certa e competente, un’indicazione che dia certezze a tutti: se c’è il terremoto, chi abita in viale Crispi (è solo un esempio) raggiunga la tale zona, lì troverà acqua, spazi organizzati per auto o tende, corrente elettrica, illuminazione, segnaletica chiara agli incroci, e sul posto, personale di accoglienza.
Qualche mese fa il Comune abbozzò un’approssimativa “sistemazione” degli spazi di raccolta, ne fece un elenco e calò tutto sul sito. Tutti usano Internet? Sbagliato: meno del 40% della popolazione, meno del 20% degli anziani. Verificando si scoprì che gli spazi erano piazze, larghi, sterrati, parcheggi di periferia, insomma tutto ciò che c’è sempre stato, senza un abbozzo di intervento: fango, polvere, rifiuti ed erbacce come “accoglienza” nell’eventualità. Bene, la gente sa andarci da sola…
Poi l’argomento decadde, finì in sordina, non se ne fece né disse più nulla. Invece si sarebbero dovute organizzare le singole aree, renderle note ai cittadini come riferimento, munirle di elementari dotazioni di emergenza, renderle fruibili con una segnaletica permanente (non allarmante, ma suadente e di tono ordinario), ricordare ogni tanto l’argomento (in considerazione degli sciami che continuano), abituare la popolazione: un’educazione sismica. Dobbiamo convivere con il terremoto, o no? A Los Angeles esistono immense piazze asfaltate e illuminabili ogni cinque-sei chilometri. Vi dice nulla?
Il Comne dovrebbe avere un piano di smistamento dei flussi veicolari quartiere per quartiere, considerando la scarsità delle arterie principali, che si intaserebbero subito. Come avvenne drammaticamente il 6 aprile: nel quartiere Banca d’Italia centinaia di persone restarono bloccate tra macerie e crolli per diverse ore: ingorghi in via Roma, crolli in via Castiglione. Qualcuno vuole che raccontiamo l’esperienza? Pronti a farlo, il cronista l’ha vissuta gomito a gomito con disperati seminudi, feriti, persone in crisi isterica, che si gettavano dai mucchi di macerie per fuggire e non potevano farlo.
Il discorso finisce qui. E auguriamoci anche gli sciami sismici. Sperando che si decidano a fare qualcosa, lasciando da parte magari polemiche e autocelebrazioni, annunci e promesse faraoniche. Pensiamo al quotidiano, all’immediato, a ciò che spetta a noi fare, senza invocare altri.
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